Caro direttore,
leggendo l’articolo molto interessante di Chiara Saraceno apparso ieri sulla Stampa dal titolo “La scuola ha tradito i più deboli” voglio condividere alcune riflessioni.

L’educazione era già un’emergenza prima della pandemia. La scuola, ogni scuola, statale o non statale che sia, fa una gran fatica a promuovere la crescita dei ragazzi più fragili. Nelle classi spesso sono “il problema”, spesso sono visti e vissuti come il problema, il peso non gradito, raramente come l’occasione donata, la presenza spiazzante sì, disturbante magari, ma preziosa per l’apprendimento di chi insegna.



E invece altro che “problema”: sono proprio i ragazzi più deboli, cui si riferisce l’articolo della Stampa a firma di Chiara Saraceno, a dare la misura delle nostre scuole. Gli ultimi difficilmente nella scuola sono i primi ed è questo “il problema”; eppure sta in loro la valutazione delle scuole che frequentiamo, sono loro il termometro della nostra “febbre” di insegnare.



Chi scrive insegna storia e filosofia in un liceo scientifico milanese e afferma questo senza voler giudicare nessuno, anche perché il primo ad essere giudicato da quanto sta affermando sarebbe lui stesso, ma come stimolo per un continuo cambiamento e rinnovamento della nostra passione educativa. Inoltre sempre chi scrive ha, come grande stimolo al rigenerarsi della sua passione educativa, l’onore di presiedere da venti anni Portofranco. È una Onlus la cui sede maggiore si trova a Milano, ma che è presente in diverse città italiane. Da vent’anni Portofranco offre un aiuto nello studio, gratuito e individuale, a ragazzi delle superiori in difficoltà, grazie all’impegno di tanti volontari. Anche noi, a febbraio, abbiamo dovuto chiudere le nostre aule. Ma dopo 10 giorni abbiamo virtualmente riaperto, con le lezioni on line e con un corso per i maturandi cui si sono connessi più di 700 ragazzi.



Abbiamo deciso di riaprire per non abbandonare i nostri studenti e la nostra passione a comunicare un senso ed un gusto nel lavoro scolastico raccogliendo la sfida che la pandemia ci pone. Chi sale le scale di viale Papiniano, sede milanese dell’Associazione Portofranco, vede questa scritta dipinta su una parete: “I ragazzi non sono vasi da riempire, ma fuochi da accendere”. Una frase a noi molto cara, perché esprime il vero diritto allo studio, il livello da raggiungere per ripartire.

Dei 1.500 iscritti a Milano i ragazzi cosiddetti “deboli” costituiscono l’assoluta maggioranza. Tanti sono gli stranieri. Tante le storie di ordinaria e/o straordinaria sofferenza scolastica e non solo. Tanti i problematici recuperi. Eppure a Portofranco vengono perché vogliono venire e la loro, la nostra libertà finalmente rimessa in moto rende possibili progressi insperati. In molti casi lavoriamo di concerto con i loro insegnanti, con le scuole di appartenenza, in una collaborazione che arricchisce tutti. Per questo mi trovo molto in sintonia con la conclusione dell’articolo di Chiara Saraceno quando afferma: “Non sarebbe meglio organizzarsi per dedicare i mesi da qui a settembre ad attività che aiutino questi bambini e ragazzi non solo a recuperare gli apprendimenti persi, ma la capacità e il desiderio di farlo, aprendo su questo una discussione con gli insegnanti, ma anche con i soggetti della società civile che con quei bambini e ragazzi lavorano?”.

Ecco, è questa collaborazione che anche noi vorremmo potenziare, dando vita ad un’alleanza educativa tra soggetti diversi, scuole pubbliche, parificate, associazioni non profit, dove la discriminante sia la passione educativa ed il desiderio di accettare la sfida di questa emergenza.

La battaglia economica è vitale. Il progresso tecnologico urgente, ma la battaglia più vitale ed urgente è rappresentata dall’educazione. Noi ci siamo!

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