Egregio direttore,
le dichiarazioni dell’ambasciatore armeno, pubblicate sul Vostro giornale il 6 agosto, altro non sono se non il tentativo di trarre in inganno il pubblico italiano, al fine di mascherare l’aggressione militare della parte armena contro l’Azerbaigian, che dura da oltre 30 anni. L’Azerbaigian è il garante della sicurezza e della pace nel Caucaso meridionale. Proprio i progetti multimiliardari di infrastrutture e trasporti energetici realizzati da noi hanno portato sviluppo, cooperazione, prosperità e stabilità nella regione. Il multiculturale e multiconfessionale Azerbaigian è uno dei principali promotori del dialogo tra le civiltà. La monoetnica Armenia, invece, che ha trasformato l’intolleranza verso le altre culture in una politica di Stato e persegue rivendicazioni territoriali contro tutti i suoi vicini, rappresenta una grave minaccia alla sicurezza regionale.



L’Armenia, che ha occupato militarmente il 20% del territorio dell’Azerbaigian riconosciuto a livello internazionale, inclusa la regione azerbaigiana del Nagorno Karabakh e i sette distretti circostanti, ha commesso pulizia etnica, numerosi crimini di guerra contro tutti gli azerbaigiani e infine il genocidio di Khojaly, e ha costretto più di 1 milione di azerbaigiani a diventare rifugiati e profughi dalle proprie terre storiche, li ha privati del diritto di tornare alle loro case e persino di visitare le tombe dei loro cari; l’Armenia non ha alcun diritto di parlare di pace e di altri valori umani, perché non sarebbe altro che ipocrisia.



L’Ambasciatore armeno distorce completamente sia le norme e i principi del diritto internazionale, sia l’essenza dei negoziati per la risoluzione del conflitto del Nagorno Karabakh tra l’Armenia e l’Azerbaigian. Il popolo armeno, avvalendosi del diritto di autodeterminazione, ha costituito lo Stato dell’Armenia. Esigere la costituzione di un secondo Stato armeno nel territorio dell’Azerbaigian è tanto illogico, quanto sarebbe illogico, da parte degli armeni sparsi per i vari paesi del mondo, esigere un domani la costituzione di un nuovo Stato armeno in uno di quei paesi. Non esiste un concetto di popolo del Nagorno Karabakh. Il Nagorno Karabakh ha una comunità armena, che attualmente vi risiede, e una comunità azerbaigiana, oggetto di pulizia etnica ed espulsa con forza da parte dell’Armenia. C’è un detto in Azerbaigian: “L’ultimo arrivato caccia chi già c’era!”.



La richiesta degli armeni, successivamente reinsediati in Nagorno–Karabakh, del diritto all’autodeterminazione, espellendo con la forza gli azerbaigiani, abitanti originari della regione, è pienamente coerente con questo detto. Solo dopo il ritorno degli azerbaigiani in Nagorno Karabakh sarà possibile discutere il modello dell’autonomia della regione, nel quadro dell’integrità territoriale dell’Azerbaigian, basandosi su migliori modelli nel mondo, inclusa anche l’Italia. La posizione dell’Azerbaigian è basata sul diritto internazionale, l’Atto finale di Helsinki, numerosi documenti adottati da organizzazioni internazionali, comprese quattro risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Consiglio all’Ambasciatore dell’Armenia di studiare attentamente l’Atto finale di Helsinki, a cui la stessa ha fatto riferimento, in particolare le disposizioni in base alle quali viene esercitato il diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Vedendo che i loro atti di aggressione sono stati compresi e l’immagine del “popolo piccolo, oppresso, perseguitato e sofferente” è stata abbattuta, la parte armena questa volta imbroglia la comunità internazionale con la menzogna di Metsamor, contro l’Azerbaigian, sebbene il mio paese abbia ripetutamente denunciato ufficialmente queste false affermazioni dell’Armenia. La centrale nucleare armena di Metsamor, situata in una zona sismica e basata su una tecnologia obsoleta, è di per sé una grave minaccia per la regione. Proprio l’Azerbaigian, preoccupato per la sicurezza della regione, solleva costantemente la richiesta di chiusura di questa centrale in diversi forum internazionali. A causa delle irresponsabili insistenze dell’Armenia, questa centrale resta ancora operativa. A quanto pare, l’Armenia vuole essere l’autore anche di una seconda Hiroshima nel Caucaso, poiché il distretto di Aghdam dell’Azerbaigian, occupato e distrutto dall’Armenia, viene chiamato Hiroshima del Caucaso.

D’altronde, l’Armenia, che minaccia costantemente di colpire strutture critiche dell’Azerbaigian, lo ha dimostrato in pratica con le sue recenti provocazioni militari. Il distretto azerbaigiano di Tovuz, attaccato dall’Armenia il 12 luglio, è un territorio rilevante per la sicurezza energetica dell’Europa, e soprattutto dell’Italia, ed è di grande importanza strategica, perché dallo stesso passano le infrastrutture per il trasporto di petrolio e gas dall’Azerbaigian all’Europa.

L’Azerbaigian sostiene negoziati sostanziali e orientati al risultato per risolvere il conflitto. L’intenzione dell’Armenia, invece, è quella di prolungare il processo negoziale, mantenere lo status quo nei territori occupati e rafforzare il “fait accompli”. Se l’Armenia vuole davvero la pace nella regione, deve rinunciare alla sua politica di occupazione e al tentativo di ingannare la comunità internazionale e, prima di tutto, ritirare le sue truppe dai territori occupati dell’Azerbaigian.

Perché il dispiegamento di truppe dell’Armenia in Azerbaigian è la principale minaccia per la pace e la sicurezza nella regione. Solo nel caso l’Armenia lo facesse, potremmo vedere che è pronta per la pace. Anche tutta la comunità internazionale deve richiedere proprio questo all’Armenia, se vuole credere alla veridicità dei messaggi di pace della stessa, che continua a nascondere la sua aggressione militare contro l’Azerbaigian sotto l’immagine del “popolo piccolo, oppresso, perseguitato e sofferente”.

Mammad Ahmadzada
Ambasciatore della Repubblica dell’Azerbaigian