Nell’autunno 2018, nel pieno dello scontro tra il governo Lega-5 Stelle e Macron, iniziai a parlare – in Italia e in Francia – della necessità di trovare un’alleanza tra i due paesi volta a costruire insieme alla Spagna un asse dell’Europa Latina interna all’Ue, in virtù anche della riacquisita centralità del Mediterraneo nelle vicende internazionali.
La mia proposta partiva dall’analisi delle dinamiche economiche e demografiche del continente europeo che, da qui ai prossimi anni, senza un cambio di rotta, lo avrebbero relegato ai margini delle dinamiche internazionali rendendo sempre più impossibile per i singoli paesi europei di competere con potenze come Usa e Cina. E dalla constatazione che la soluzione di un’internazionale sovranista tout court sarebbe stata inefficace stante l’inevitabile divergenza tra interessi nazionali di 27 paesi e dunque, salvo alcuni punti fermi comuni (vedi lotta all’immigrazione selvaggia) tra obiettivi di 27 destre. Le posizioni delle destre austriache, tedesche o olandesi ne davano prova allora così come ne stanno dando prova ora.
Dall’autunno 2018 a oggi sono accaduti due fatti nuovi che mi spingono a sostenere ancora più convintamente la necessità di un asse dell’Europa Latina:
1. la Brexit, facendo uscire il Regno Unito dall’Ue, ha da un lato eliminato il pilastro nord della struttura comunitaria spostandone il baricentro e dall’altro ha eliminato dei tre big quello che era lo sponsor più accanito della versione più liberista dell’Ue, obbligando i paesi nordici a raggrupparsi attorno alla piccola Olanda;
2. il coronavirus, provocando una grossa crisi economica, ha aperto uno squarcio nell’impalcatura europea obbligando per la prima volta la Germania e i suoi alleati nordici a mettere in discussione il proprio approccio ordoliberista nell’ambito di uno scontro con i paesi del Sud Europa circa le misure da adottare per affrontare la crisi (e di conseguenza su che missione dare all’Ue).
Questo secondo evento, con la formazione dovuta all’urgenza di un’alleanza tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo ecc. (cioè di circa 200 milioni di cittadini europei) ci ha mostrato quale forza un asse dell’Europa Latina può avere – se strutturata – per riequilibrare i rapporti di forza e raddrizzare la rotta del progetto europeo. La crisi legata al coronavirus sta infatti mettendo in discussione molti dei paradigmi che fino a oggi abbiamo considerato dogmi: globalizzazione, delocalizzazione, libero scambio, abolizione delle frontiere, eccetera eccetera. Ma anche i rapporti e gli equilibri internazionali, con la Cina che arriva in Europa, la Russia nel Mediterraneo e gli Usa che un po’ si ripiegano su loro stessi e un po’ si concentrano su altri mari (vedasi Indo-Pacifico).
In questa fase si può compiere il destino del continente europeo: che deve decidere se continuare a essere un pezzo, sempre più periferico, dell’impero americano; o aderire all’impero cinese; o accettare di esser parte dell’impero tedesco; o disgregarsi e diventare un pezzo americano, un pezzo cinese, un pezzo tedesco. Fatto a fette un po’ come accadde a Berlino dopo la seconda guerra mondiale. Oppure può decidere di lavorare per continuare a restare Europa. Strada scomoda e complessa visto che la base di partenza è fatta di egoismi, competizione e visioni divergenti. Ma non è certo con la comodità che si costruiscono e che si difendono le civiltà, come sanno quelli che a Roma l’hanno costruita o quelli che a Lepanto l’hanno salvata.
Il punto è che per farlo serve finirla con il progetto di Europa-spazio commerciale e iniziare a ragionare in termini di Europa-potenza. Solo che, per farlo, bisogna dare vita a un nuovo patto fondativo tra Stati nazionali, riequilibrando il monopolio decisionale tedesco e il potere d’influenza dei paesi nordici nel nome di una visione, di una missione comune. Una visione che non può essere quella dell’Europa solo come entità mercantilista, di stampo ultraliberista e politicamente minimalista come la vogliono i cosiddetti falchi del Nord. Ma che dev’essere semmai quella di un’Europa che sia mantello protettore della comunità di Stati che vi appartengono, aiutandoli, sostenendoli, mettendone in comune le conoscenze, facendosi moltiplicatore della loro potenza e competenza. Una visione di Europa sociale che dev’essere lanciata e spinta dai paesi europei a tradizione latina, ricollocando il baricentro europeo verso il Mediterraneo – culla delle civiltà – e verso quel concetto – “sociale” – che è stata l’Europa (Germania inclusa, creatrice del welfare state) a inventare per poi colpevolmente sacrificare sull’altare dell’american way of life.
Solo acquisendo una dimensione sociale l’Europa potrà acquisire quella dimensione comunitaria necessaria per trasformarsi in soggetto geopolitico attivo. Condizione necessaria per provare a rimanere anche nei decenni a venire uno dei centri che determineranno il mondo del futuro.