Caro direttore,
in un articolo sull’ultimo numero di La Civiltà Cattolica, il direttore – padre Antonio Spadaro – mette in relazione l’emergenza-coronavirus con il rischio di una “pandemia della paura”. Ne giungono, come di consueto, stimoli importanti: al di là della citazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul pericolo di “inaridimento da paura”; immediatamente collegata, nell’articolo, alla denuncia delle “macchine da guerra social all’opera nella propaganda nazionalista e sovranista”. Quando il pianeta – Italia compresa – è minacciato da un rischio sanitario reale, ciò che focalizza l’attenzione dell’autorevole editorialista è comunque l’impatto socioculturale (in particolare attraverso i new media) e la sua significatività nell’orientare l’agire politico. È senza dubbio una questione di attualità cruciale: a comun denominatore di interrogativi concreti e urgenti.
Un prima domanda – dall’Italia, dall’Europa – può essere questa: è accettabile riposare nell’immunità da “ansie irrazionali” garantita dall’assenza ufficiale di casi segnalati di coronavirus in Africa (salvo un singolo infetto in Egitto)? Oppure è preferibile essere informati della realtà – certamente “diversa da zero” – in Paesi a bassa sicurezza sanitaria e ad alta penetrazione cinese? Nell’attesa appare lecito ipotizzare le ripercussioni presumibili della conoscenza effettiva delle dinamiche epidemiche in Africa. La diffusione negli altri continenti di una “paura razionale” porterebbe prevedibilmente alla predisposizione di risposte altrettanto “razionali” a un’emergenza emersa come “reale”.
Sembrano esservi pochi dubbi che nel “villaggio globale” le emergenze reali si materializzino come tali e vengano fronteggiate in tempi reali anche grazie alle piattaforme di comunicazione tecnologica: anche grazie ai social media. È più pericoloso il rischio-fake nelle società ormai innervate dai social o il rischio-silenzio là dove i social non sono ancora sviluppati o non possono operare? La questione introduce immediatamente un secondo spunto di riflessione.
La Cina – epicentro del rischio-pandemia reale – è al centro di crescenti polemiche su silenzi e ritardi comunicativi presumibilmente imposti dalle autorità politiche di Pechino (è di ieri la notizia che il presidente Xi Jinping sarebbe stato avvertito dell’emergenza già tredici giorni prima dell’allarme internazionale iniziale). È comprensibile che il paramount leader del Dragone si sia per primo preoccupato dal pericolo di “pandemia della paura”: i riflessi recessivi sull’economia cinese potrebbero essere drammatici. Non sorprendentemente, quindi, un regime autoritario, iper-nazionalista, rigido controllore dell’informazione e del web (poco diverso dal quello fascista in Italia citato nell’articolo da padre Spadaro) ha tentato in tutti i modi di evitare la diffusione di ogni genere di informazione e quindi di paura, razionale o irrazionale: lamentando, fra l’altro, anche la decisione del Governo italiano di interrompere i voli diretti con la Cina.
In questi giorni ha peraltro mostrato “paura razionale” la stessa Facebook: leader globale dei social media, certamente fra i migliori conoscitori di ciò che in rete è grano o loglio. Venerdì Mark Zuckerberg ha annunciato la cancellazione del suo global meeting annuale a San Francisco, in calendario per marzo: un evento planetario. Eppure la “paura razionale” ha prevalso anche nella Silicon Valley: cuore contemporaneo della “civiltà della conoscenza” e delle sue libertà. Ieri, intanto, un governo come quello israeliano ha esteso la quarantena per tutti i viaggiatori in arrivo da Hong Kong, Macau, Thailandia e soprattutto Singapore.
Il rapporto complesso e discusso fra la Cina e i sistemi di comunicazione della civiltà liberaldemocratica è d’altronde al centro dell’agenda geopolitica già prima del caso coronavirus. Può essere in parte tema da addetti ai lavori il braccio di ferro globale in corso sull’espansione del colosso cinese delle tlc Huawei. Gli Usa di Donald di Trump accusano Pechino di voler invadere il pianeta con una “macchina da guerra” potenzialmente più minacciosa dei piani infrastrutturali “Belt and Road”. I grandi Paesi europei (Francia, Germania, Gran Bretagna) procedono per il momento per passi sparsi, parziali, incerti. Su uno scacchiere sul quale ogni diplomazia muove ormai sulla base di agende proprie, non sarà facile neppure per l’Italia districarsi fra rischi geopolitici e interessi economici nella nuova “guerra fredda” fra Usa e Cina.
Nel frattempo non si spegne fra Usa ed Europa – soprattutto nel popolo giovanile dei social – la “paura razionale” per il futuro dei giovani dissidenti delle piazze di Hong Kong: che continuano a chiedere libertà di pensiero, di espressione, di studio, di azione sociopolitica (alcuni anche di culto) contro le pretese annessioniste e omologatrici della mainland cinese. Solo social media ancora relativamente liberi, negli ultimi mesi, hanno consentito ai fratelli maggiori delle “sardine” italiane di riempire le piazze di Hong Kong prima di quelle di Bologna: con la differenza che a Hong Kong i carri armati dell’Esercito del Popolo stazionavano a pochi chilometri di distanza, pronti a reprimere come trent’anni fa in piazza Tienanmen. È stato anche il rumore dei social media a richiamare lo stesso Presidente degli Stati Uniti – oltre alla Commissione Ue e ai leader di numerosi altri Stati – alla solidarietà delle democrazie mondiali verso i giovani degli ombrelli gialli, mettendo in guardia le autorità cinesi
Un cenno sembra meritare, infine, anche uno specifico question & answer sociopolitico maturato nei giorni scorsi in Italia. Alcuni presidenti di Regioni del Nord hanno posto l’opportunità di una breve quarantena scolastica per gli studenti cinesi di rientro dalle festività del Capodanno in madrepatria. È una richiesta-invito cui numerose comunità cinesi nel Paese hanno spontaneamente aderito, senza diktat amministrativi. Nel frattempo il Miur ha diramato una circolare che, nei fatti, non ha negato la fondatezza della questione, ma ha accollato ai dirigenti scolastici la responsabilità di valutare e fronteggiare la situazione caso per caso. Questo è avvenuto mentre alcune “macchine da guerra social“ hanno avviato una campagna contro un presunto rigurgito d’odio razzista celato dietro la “paura razionale” dei governatori regionali del Nord Italia.
Il passaggio ha richiamato l’attenzione particolarmente critica del Luca Ricolfi, osservatore accreditato dei fenomeni sociopolitici italiani. In un editoriale pubblicato sul principale quotidiano di Roma il sociologo ha fra l’altro annotato: “…anche una tragedia come quella che il mondo rischia di vivere, è un’occasione da non sprecare. Anche i bambini potenzialmente infetti, e le paure più o meno proporzionate che ogni pandemia suscita, sono opportunità preziose per ribadire [che].. noi, con le nostre paure e la nostra stupidità, siamo solo un gregge cui indicare la via”.