Caro direttore,
in un minuto borgo molto pittoresco degli Appennini emiliani, una signora dalla sua finestra al secondo piano parla ad alta voce con le amiche che sono sotto nella stradina. Le sentiamo come un coro allegro di chi abita in questo piccolo paradiso, di persone simpatizzanti che si conoscono da sempre. Ad un certo punto si alza sopra al loro schiamazzo una frase che dice ridendo: “Siamo tutti positivi!”.



Due anni fa essere positivi sarebbe stata la frase di una lezioncina da parte di qualche amica che magari rimproverava un certo pessimismo esistenziale. Era, in effetti, diventata la parola d’ordine per quella filosofia di vita un po’ troppo spicciola e di gran moda. Ora, all’inizio del 2022, questa parola ha acquistato un significato completamente diverso. I positivi sono gli infettati dal virus pandemico; i negativi invece quelli sani o immuni. Un totale ribaltamento linguistico, quindi anche culturale, come la semiotica ci insegna. Ma questa signora ha espresso questo pensiero come una gioiosa affermazione che ci rendeva di nuovo tutti uguali, di nuovo sorelle e fratelli.



La divisione tra le persone che progressivamente e pericolosamente si sta manifestando (negli Stati Uniti si parla di rage, cioè rabbia che si esprime inaspettatamente con aggressioni verbali sproporzionate nei locali pubblici) in questi quasi due anni covidiani, grazie soprattutto a una campagna mediatica sensazionalistica e anche a una certa manipolazione provocata da vari poteri, ha rovesciato il valore di queste parole e dei nostri sentimenti. E così una signora, stravolta ed estenuata dall’altalenarsi di ondate virali e decreti governativi, dal suo balcone si è ripresa quel sentimento di euforia considerato naturale almeno all’inizio di un nuovo anno.



Ma questa libertà e chiarezza d’animo non è così ovunque, tutt’altro. Questo è un minimo paesino idilliaco, come ce ne sono certamente tanti in Italia, dove la tranquillità e la sicurezza sono un modus vivendi normale. Ed ecco un’altra parola ormai equivoca: normalità. Si è parlato di “new normality” e abbiamo tremato. Di fronte a noi c’è uno scenario sempre più preoccupante, per nulla normale, scandito dai decreti governativi e segnato dallo stato di emergenza che si protrarrà fino al 31 marzo, con continui colpi di scena che cominciano a pesare come colpi di ghigliottina. Si continua a colpire quel 14% o 15% (una percentuale quasi identica a quella degli Stati Uniti) che qualcuno ha chiamato “disubbidienti”. Forse la tanto desiderata immunità di gregge è già stata anche superata – ricordiamo tutti, credo, che nel non lontano 2020 lo scopo delle vaccinazioni di massa era raggiungere questo obiettivo – eppure il piano è di lock-out (permettetemi di introdurre una parola più adeguata dell’usurpata e inflazionata lockdown), cioè di “chiudere fuori” da ogni attività culturale e sociale quella percentuale di cittadini che per ragioni o religioni proprie hanno scelto diversamente, pensando di averne il diritto come cittadini di una società libera.

Chissà, forse quella signora dal balcone proclamava ciò che dice la Costituzione americana: Noi riteniamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi ci sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità.

La sua voce ha esclamato l’inalienabile diritto alla felicità. “Siamo tutti positivi!” diventa un canto alla libertà dalla paura.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI