Caro direttore,
in questi giorni ricorrono le celebrazioni degli ottant’anni di eventi scolpiti nella memoria collettiva dell’Europa. Il 4 giugno 1944 veniva liberata Roma e il presidente americano Roosevelt, in una delle sue conversazioni radiofoniche con il popolo americano passate alla storia come “chiacchierate al caminetto”, poteva comunicare trionfante: “La prima capitale dell’Asse è ora nelle nostre mani. Una è stata presa. Ne mancano due”.
Immediatamente dopo, il 6 giugno, avveniva lo sbarco in Normandia che, aprendo un secondo fronte in Europa occidentale, permetteva agli alleati di entrare in Francia e aprirsi la strada verso Parigi e Berlino. Ripenso ad una targa che si trova a Courseulles-sur-Mer in Normandia su cui è scritto: “Le 6 Juin 1944 les forces alliées libèrent l’Europe”. L’espressione è al presente: “Il 6 giugno le forze alleate liberano l’Europa”. Qualsiasi discorso sull’Europa attuale non può non partire da quei momenti in cui volgeva a termine quell’inferno che è stato il secondo conflitto mondiale: una guerra europea che fece piombare l’Europa nell’abisso. Secondo lo studio di Mark Mazower, “in Europa fra il 1939 e il 1948 vennero uccise o deportate 90 milioni di persone”.
Fu uno spartiacque storico per l’Europa, un “anno zero”, che provocò una crisi della coscienza europea da cui maturò il progetto visionario di un’unità europea che decideva di mettere al bando la guerra. Iniziava quello che Tony Judt ha chiamato Postwar, Dopoguerra, da intendersi non solo in senso temporale, come inizio del dopoguerra, quanto soprattutto come inizio di una nuova epoca che non contemplava più la guerra. Questa è stata la nascita dell’Europa unita. I leader di Francia, Italia e Germania, consapevoli della tragedia causata dai nazionalismi, mettevano in discussione il dogma della sovranità assoluta dello Stato nato a Vestfalia nel 1648 per realizzare quella che Altiero Spinelli nel Manifesto di Ventotene descrisse come “la creazione più grandiosa da diversi secoli a questa parte in Europa”.
Fu un periodo “eroico” per la politica, chiamata ad andare oltre i risentimenti della guerra e le secolari divisioni, producendo sul territorio europeo qualcosa mai sperimentato prima, ma di cui i padri fondatori comprendevano l’urgenza. “Non abbiamo fatto l’Europa, abbiamo avuto la guerra”, scrisse Schuman nella Dichiarazione che diede origine alla prima Comunità europea. Jean Monnet, suo consigliere, era convinto infatti che “non ci sarebbe stata pace in Europa se gli Stati si fossero ricostruiti sulla base della sovranità nazionale”.
La nascita dell’Europa unita determinò una mutazione nella coscienza europea, fondando una comunità di destino che ha costituito una nuova identità dei popoli europei: non più solo nazionale, ma nazionale ed europea. “Il bambino è nato”, sospirò De Gasperi quando realizzò la nascita della CECA.
L’Europa, tuttavia, non divenne mai una realtà pienamente politica e federale, nonostante il tentativo ambizioso portato avanti negli anni Cinquanta dallo stesso De Gasperi, con l’aiuto di Spinelli, il quale, con il favore della Germania e dei paesi del Benelux, volle spingere in avanti il progetto europeo fino a proporre una Comunità Politica Europea di tipo federale con un esercito comune e con il coordinamento delle politiche fiscali.
Questo progetto fallì per il veto francese il 30 agosto 1954, pochi giorni dopo la morte dello stesso De Gasperi. Da allora l’Europa si è sviluppata unicamente sul fianco economico, affidando la sua sicurezza militare agli Stati Uniti. Neanche il crollo del muro di Berlino e la riunificazione tedesca, che pure sono stati l’occasione per un approfondimento dell’integrazione europea fino a comprendere la moneta unica, fecero mutare l’indirizzo. Anzi, l’Europa considerò il crollo del muro come l’inizio della pace perpetua, puntando sull’interdipendenza economica e sulla globalizzazione dei mercati visti come garanzia di pace e stabilità.
Il 24 febbraio del 2022 l’invasione della Russia in Ucraina ha rappresentato il ritorno di ciò che non avremmo più dovuto vedere. Quel giorno per l’Europa è finita l’epoca che abbiamo chiamato Dopoguerra. Bombardamenti di città, stupri, torture, esecuzioni di civili. Le atrocità nella ex Jugoslavia sono state certo della stessa brutalità ma non nelle stesse proporzioni. Assistiamo da due anni a questa parte a città rase al suolo, scontri casa per casa, uso di artiglieria pesante e carri armati, in una guerra di aggressione da parte di uno Stato fondatore delle Nazioni Unite verso un Paese sovrano che difende i nostri stessi valori europei.
Una guerra, peraltro, che ha profonde implicazioni geopolitiche. Accanto al tentativo di ricostruzione dell’impero russo, come spazio spirituale e militare alternativo all’Occidente, si è palesata al contempo la strategia dell’impero cinese che, forte del potere politico più forte dai tempi di Mao, entro il 2030 vuole diventare la prima potenza globale. La Cina ha saputo infatti nel corso degli anni mettere in atto una serie di politiche volte a controllare tutte le fasi delle catene di approvvigionamento relative alle tecnologie verdi e avanzate (come nel campo dell’intelligenza artificiale, dei veicoli elettrici, del solare e dell’eolico) fino a dominare i mercati.
Impreparata culturalmente, economicamente e istituzionalmente, l’Europa ha finito così per trovarsi esposta a tre dipendenze: quella della difesa affidata agli Stati Uniti, quella dalle materie prime energiche e fertilizzanti dalla Russia, quella dei prodotti a basso costo dalla Cina. Il risultato è che “l’Europa – ha detto Macron alla Sorbona l’aprile scorso – è sul punto di morire”.
Le elezioni del Parlamento europeo del prossimo 8-9 giugno, giungono in un momento storico decisivo, sicuramente il più importante dalla nascita dell’integrazione europea. Davanti alle minacce mortali a cui è soggetta, l’Unione Europea è oggi chiamata a scegliere se diventare finalmente adulta, assumendo una propria sovranità strategica effettiva che le permette di competere alla pari con gli altri attori geopolitici, oppure rischiare di essere risucchiata dalla storia.
Quando nel 1787, qualche anno dopo l’indipendenza, i rappresentanti dei tredici Stati americani si recarono presso la Convenzione di Filadelfia per discutere una serie di riforme alla Costituzione, decisero che era meglio scriverne un’altra. In questo modo, trasformarono la confederazione americana in “un’unione sovrana di Stati sovrani”, come disse Madison. Erano nati gli Stati Uniti d’America!
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