Caro direttore,
cambiamento climatico o meteorologico, questo è il dilemma.
Però, lo dico magari sottovoce, a me questa “ottobrata” estiva non dispiace. È come il tempo supplementare dell’estate, il bis del concerto o il rileggere quella frase dell’autore amato che risveglia lontane memorie. Sai che terminerà, un inverno è alle porte, ma desideri goderla fino in fondo.
E allora via, rosicando poche ore o il fine settimana, si corre al mare cercando di rivedere lo stesso film, le stesse sensazioni.
Ma non è così, neanche la luce e l’ombra sono uguali. Il mare d’autunno è diverso. Non più clamore di bagnanti, risa e pianti di bambini, cacofonia di voci e musica, fresco sollievo nella battigia e slalomisti olimpici fra ombrelloni alla ricerca dello sdraio perduto. Riappare, quasi timidamente, fra le mani, quell’oggetto che si chiama libro, soppiantando almeno per un intero capitolo il cellulare.
Il mare d’autunno è un altro momento di tempo e di spazio.
Lo sguardo corre lontano non più interrotto dalle file colorate dei bagni, rimangono solo pochi ombrelloni chiusi che, come sentinelle, attendono l’ordine di rientrare. Si riprende anche a salutarsi nella passeggiata lungo quella striscia di sabbia, magari timidamente o con un sorriso appena accennato, riprendendo così un allenamento ormai quasi dimenticato, piccolo segno di un’umanità rimasta.
E quello spazio del telo colorato che, come fortino assediato, difendevi ergendo torri di borse frigo, sdraiette e finti giochi di nipoti che non avevi, ora si apre al vicino (tanto è abbastanza lontano).
Non è affannoso il mare d’autunno, anche mosso è come se un senso di pace lo attraversasse.
È solo la voglia del caffè pomeridiano, che ti fa alzare dal comodo giaciglio e cercare un bar. La sabbia d’autunno non scotta, nessuna sudata ferragostana… poca fatica e molta resa a soddisfare quel piccolo desiderio. I pochi sdrai occupati nei pressi della passerella non offuscano l’obiettivo quasi raggiunto.
Nessuno attorno, solo una mamma che, nell’area giochi, porge il gelato al figlio.
Al figlio in carrozzella. Quelle carrozzelle che non vorresti mai vedere. Che non hai mai voluto vedere. Scansare lo sguardo. Guardare altrove.
Dov’è il mare d’agosto, dove sono quelle moltitudini di corpi e di chiacchiericcio che anestetizza lo sguardo e lo attira altrove?
È grave quella croce su quel corpo piccino.
Ma quanto più grande è quell’abbraccio che si specchia negli occhi della madre che teneramente, con parole dolci e lievi accompagna il gelato alle labbra del figlio.
In quegli occhi si uniscono il cielo e il mare, la tenerezza e il dolore. No, oggi non si può scansare lo sguardo, sono lì per me, anzi quegli occhi vanno incrociati in un muto abbraccio, per succhiare di quell’amore.
Che strano il mare d’autunno, ti affanni per uno scampolo di sole o per un caffè e ti si spalanca l’Amore. Ma non è così anche la vita di tutti i giorni? Non c’è forse sempre anche un solo cenno di Infinito che ci fa soffermare lo sguardo e guardare?
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