Caro direttore,
non scrivo per esprimere una mia opinione personale, o presentare una “verità” fra le tante di cui si legge e si sente ogni giorno ormai da quel fatidico 24 febbraio, giorno dell’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina. Anche sulle pagine di questo giornale innumerevoli sono state in questi mesi le opinioni ospitate e proprio a questi più illustri e competenti pensatori mi rivolgo, perché mi aiutino a capire qualcosa che ormai sfugge a ogni razionalità.



Nelle scorse ore c’è stata una manifestazione per la pace che in questo momento non sappiamo dire quanta gente abbia radunato, ma certo non i tre milioni di italiani che il 16 febbraio 2003 a Roma scesero per strada per dire no all’invasione dell’Iraq. È sempre stato così nel nostro Paese quando si manifesta contro l’America. In questi quasi otto mesi invece le manifestazioni sono state pochissime, giusto a inizio conflitto, spinti dall’emotività. Non abbiamo mai visto nessuno invece, come facevamo noi negli anni 80, andare a manifestare davanti all’ambasciata russa o ai suoi consolati durante l’invasione dell’Afghanistan da parte di Mosca. Ed è questo il punto che mi lascia perplesso. La sera prima di questa manifestazione ho visto in televisione lo stimato collega Piero Sansonetti, giornalista che ho sempre ammirato per la posizione integerrima, garantista, indipendente, sbracciarsi invocando “pace pace”. Ma quale pace? La manifestazione di ieri più che per una effettiva fine dei combattimenti in Ucraina è nata perché sembra che la possibilità di un conflitto nucleare sia ormai scontato. Dal modo come Sansonetti si agitava, percepivo come ormai la parola pace è diventata divisiva: pace è chiedere di non inviare armi all’Ucraina perché se continua a difendersi si rischia la guerra nucleare e un po’ di freddo nelle nostre case. È una pace a braccia alzate.



Si continua a sentire che per la prima volta dai tempi della crisi dei missili a Cuba 60 anni fa non siamo mai stati così vicini all’Armageddon (come ha detto il presidente americano, usando, da buon americano, il linguaggio di Hollywood). Non è vero. Da quando l’arma nucleare è stata inventata ogni giorno della nostra vita è passato sull’orlo dell’Armageddon, la fine del mondo. I sistemi nucleari sono affidati a degli automatismi, nemmeno Putin o Joe Biden possono schiacciare il famoso pulsante che darebbe vita al lancio delle armi nucleari. Il primo settembre 1983 la difesa aerea russa distrusse un jet di linea della Corea del Sud con 269 persone a bordo penetrato per errore nello spazio aereo russo. Ci siamo dimenticati del colonnello Stanislav Petrov. Il 26 settembre di quell’anno, dopo che Ronald Reagan aveva ordinato l’allarme nucleare, intorno alla mezzanotte, i satelliti sovietici segnalarono alla base di Serpukhov-15 un missile intercontinentale americano Minuteman in arrivo. Poco dopo ne vennero segnalati altri 4. Ma Stanislav Petrov, ufficiale in comando, invece di avvisare subito i superiori come voleva la procedura, attese. L’avesse rispettata, avrebbe sicuramente scatenato la rappresaglia nucleare sovietica. Passarono 23 interminabili minuti. Petrov pensò che se gli Stati Uniti avessero voluto attaccare l’Urss, non avrebbero usato solo 5 ma centinaia di missili atomici. Aveva ragione, era un falso allarme causato da un riflesso del sole. Quell’uomo salvò il mondo dalla catastrofe. Per quanto ne sappiamo episodi come questi possono essersi verificati dozzine di volte negli ultimi 70 anni.



Tornando all’attuale richiesta di pace, sono vecchio abbastanza per ricordare le grandi manifestazioni degli anni 80 contro quella che sembrava ormai una inevitabile guerra nucleare. I manifestanti nell’Europa occidentale, soprattutto in Germania e in Italia, sfilavano scandendo questo agghiacciante slogan: “Better reds than dead”, meglio rossi che morti. E rossi, allora, non significava un partitino della sinistra, ma Unione Sovietica.

Ecco, oggi mi sembra di assistere alla stessa cosa. Meglio che l’Ucraina ceda parte dei sui territori, della sua popolazione già costretta con la forza in Russia, che una guerra nucleare. Non ci sarà nessuna guerra nucleare. Ai tempi della Guerra fredda una gelida ideologia marxista-leninista avrebbe potuto dare vita a questo evento. Putin non appartiene a nessuna ideologia se non la propria personale: lusso, ricchezza, donne, bella vita. Non è scemo, non vi rinuncerebbe mai per il Donbass.

“Better reds than dead”. Meglio Putin che morti. C’è una mistificazione, a mio avviso, alla base di tutto. Pensare che in fondo Putin sia un politico degno, frutto della libera scelta del suo popolo. Be’, anche Hitler andò al potere con libere e democratiche elezioni. Putin è ancora al potere perché ha eliminato fisicamente tutti i suoi avversari. Il popolo russo non è libero. Io e lei, direttore, invece, possiamo scriverci queste cose perché viviamo in un paese libero, grazie alla Nato. Come diceva un comunista autentico, allora segretario del più forte e potente Partito comunista del mondo dopo quello sovietico, Enrico Berlinguer, “mi sento più al sicuro sotto l’ombrello della Nato che quello del Patto di Varsavia”. Non è vero che la Nato è “andata ad abbaiare ai confini russi”: chiunque sa che l’America dispone di ordigni tali che può lanciare un missile nucleare dal suo territorio che raggiungerebbe e raderebbe al suolo Mosca in sette secondi. Non hanno bisogno di mettere armi nucleari in Ucraina. Pio XII, pontefice in carica durante la Seconda guerra mondiale, inviò un memorabile messaggio radiofonico il 24 agosto 1939 quando già si sapeva che Germania e Russia avrebbero attaccato la Polonia: “Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra”. Dopo di che, non risulta abbia mai chiesto agli alleati di fermare la guerra contro i tedeschi.

Oggi invece decenni di anti-americanismo ci fanno pensare che quasi quasi staremmo meglio con Putin, che ci dà gas e con cui facciamo affari con soldi sporchi riciclati dalla criminalità, ma almeno non usa l’arma nucleare. L’Occidente ha commesso crimini inenarrabili: l’invasione dell’Iraq che ha dato la stura al peggior islamismo omicida, le dittature fasciste in Cile e Argentina con migliaia di morti innocenti e tanto altro. Ma siamo liberi di costruire case, scuole, ospedali, aziende. Di scendere in piazza senza essere arrestati. Perché le ragazze iraniane si fanno ammazzare per strada tutti i giorni? Perché vogliono vivere all’occidentale. Perché le donne afghane per vent’anni hanno potuto assaporare la libertà? Perché la garantiva l’occidente. Perché tanti africani muoiono in mare pur di raggiugnere l’Europa? Perché sognano di vivere all’occidentale. Perché gli ucraini accettano di vedere morire i propri bambini? Perché vogliono la nostra libertà. La nostra libertà così debole e così piena di contraddizioni è comunque il sogno di tutti i sofferenti, i discriminati e i poveri.

In un discorso trasmesso dalla televisione di Stato russa, Putin ha “giustificato” i raid condotti dopo l’attentato al ponte in Crimea contro gli abitanti civili dell’Ucraina come una rappresaglia. Rappresaglia contro i civili erano quello che facevano i nazisti.

“Chiunque abbia a cuore un minimo di verità”, ha scritto un altro esimio collega, Riccardo Bonacina di vita.it, “fattuale e con la ‘v’ minuscola (quella con la maiuscola è brandita dai chierichetti di Putin a partire dal patriarca Kirill), potrà riconoscere che non c’è la minima proporzionalità tra l’aggressione continua e spaventosa di Putin e gli atti della resistenza popolare ucraina”.

Questo chiedo con questa mia: ma che pace vogliamo? Se ci sono abbastanza uomini di buona volontà possiamo ricostruire un occidente degno della sua storia di libertà, ma con Putin al Cremlino non ci sarà mai un mondo in pace.