Nuova crepa, con relative polemiche, nei rapporti tra l’Italia e l’Unione europea. Legate alla libertà di informazione arrivano, non a caso, proprio alla vigilia delle trattative per assegnare un nuovo ruolo europeo al nostro Paese con la nomina di un Commissario adeguato.

Un momento delicato, dove tutto fa brodo per abbassare il “rating” italiano e ovviamente la Meloni non ci sta, anche perché chi conosce la realtà italiana capisce bene come siano critiche politicamente di parte e prendendo per buone – più che le notizie vere e proprie – soprattutto i commenti su di esse, in linea con quelli dell’opposizione che infatti li rilancia subito con l’accusa di “lesa libertà”.



Secondo Bruxelles, preoccupano in Italia i casi di intimidazione ai danni dei giornalisti da parte dei politici, la mancanza di tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, così come le ingerenze da parte della politica nella rete pubblica Rai.

Dalla Cina, Giorgia Merloni ha reagito piuttosto rudemente alla von der Leyen per difendere la posizione del suo Governo. “Cara Ursula, qualche giorno fa, come accade ogni anno dal 2020, la Commissione europea ha pubblicato la Relazione annuale sullo stato di diritto dell’Ue e le raccomandazioni finali nei confronti dell’Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti, tuttavia per la prima volta il contenuto di questo documento è stato distorto a uso politico nel tentativo di attaccare il Governo italiano. Qualcuno si è spinto perfino a sostenere che in Italia sarebbe a rischio lo stato di diritto, la libertà di informazione e che in particolare questo avvenga in Rai…”.



Il batti e ribatti è legato proprio alla governance della Rai, al presunto cambiamento della sua linea editoriale e alla mancanza di “par condicio” elettorale.

Sul primo punto Meloni ribatte che la riforma della Rai è stata ideata e realizzata nel 2015 dall’allora partito di maggioranza relativa (ovvero il Pd) durante il Governo di Matteo Renzi, con la contrarietà proprio di Fratelli d’Italia e che il nuovo governo non ha cambiato nulla nel Cda, salvo che per la nomina obbligata di un nuovo Amministratore delegato a seguito delle dimissioni del suo predecessore. Se poi alcuni giornalisti sono passati alla concorrenza è stato per scelte economiche e non pressioni politiche – sostiene la Meloni -, così come nessuno in Italia ha sollevato problemi di “par condicio” in campagna elettorale.



Fin qui la Premier, ma è evidente che Bruxelles abbia le “sue” fonti militanti e di parte (Il Fatto Quotidiano, Il Domani, La7 Repubblica…), visto che la polemica sul controllo politico della Rai non era mai stata sollevata quando per decenni l’azienda è stata lottizzata in chiave partitica con strutture che anche ora sono rimaste sostanzialmente identiche a prima.

Forse che qualunque cosa cambi dia fastidio in casa Rai perché (finalmente, mi viene da scrivere) si invoca ora una maggiore trasparenza e più pluralismo?

Che poi i giornalisti italiani siano liberi di scrivere quello che vogliono è dimostrato ogni mattina proprio dalle “rassegne stampa” dove chi ascolta può vedere chiaramente non solo come la gran parte dei giornali siano critici verso il Governo, ma che poi – guarda caso – proprio quelle stesse fonti vengano riprese molto di più rispetto a quelle potenzialmente filo-governative. Un ascolto che evidentemente a Bruxelles non si curano di fare.

Eppure ad analizzarle si comprende bene come le accuse di Bruxelles siano preconcette e di parte, da rispedire al mittente ma subito riprese proprio dal Pd. Nulla di nuovo, né di sorprendente vista la contiguità politica tra i democratici e la nuova maggioranza europea, ma è davvero curioso (e anche inquietante) che proprio da questo pulpito giungano critiche politiche con l’evidente volontà di omologare a “pensiero unico” l’informazione di tutta l’Ue, soprattutto in quei Paesi dove la maggioranza dell’elettorato non si ritrova nella linea politica della attuale Commissione.

Se vogliamo essere ancora più chiari la mossa di Bruxelles può apparire come una aperta strumentalizzazione che non porta problemi in sé, ma sottolinea bene la demagogia europea dove la Commissione si propone sempre di meno come un organo di governo tecnico e sempre di più come organismo squisitamente politico.

Un’Europa sempre più di parte insomma, come d’altronde proprio l’elezione della von der Leyen ne è stato il primo segnale e come la volontà di “declassare” in qualche modo l’Italia rischia di esserne il seguito concreto.

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