Caro direttore,
la generazione di mezzo, quella del segmento 40-50 anni, troppo vecchia per poter pensare di voler fare la rivoluzione, ma troppo giovane per pensare alla pensione, che lotta, quotidianamente, per poter lavorare e portare avanti la famiglia, per non prendere troppo peso ricorrendo a diete miracolose, o a modelli di allenamento infallibili e ai chirurghi estetici, quando può permetterselo, ha un grande vantaggio rispetto alle generazioni precedenti: può recuperare il dettaglio perduto senza dovere per forza di cose affidarsi alla memoria remota, ma senza adagiarsi sui ricordi di un tempo andato.
Guardando indietro nella nostra storia personale, siamo soliti fare associazioni di date e di eventi per collocare, temporalmente, un odore, un sapore, un’immagine della giovinezza andata, ma se ci sforziamo troppo, appuriamo che il trascorrere del tempo ci può rievocare fotogrammi sbiaditi e dai contorni labili.
Siamo, però, la generazione troppo vecchia per utilizzare l’applicazione TikTok, ma ancora affezionata ai social Facebook e YouTube. Succede, quindi, che, nelle cene tra amici (almeno fin quando era possibile farle) o negli incontri su Skype per sentirci vicini, nonostante il distanziamento sociale, ricordiamo telefilm e cartoni animati della nostra giovinezza (i film richiedono un’applicazione maggiore!) e, quando troviamo l’interlocutore più preparato di noi, entriamo in crisi perché ci chiama a uno sforzo mnemonico importante: ricordare i dettagli.
Tutti ricordiamo il personaggio di Fonzie, in Happy Days il bullo dal cuore tenero, o Mork che veniva dal pianeta Ork, mandato sulla terra a studiare il comportamento degli umani e chissà cosa avrebbe pensato di quanto accaduto nel 2020! Facciamo però un’incredibile fatica a rievocare i dettagli delle immagini e delle storie della giovinezza.
Prendiamo ad esempio l’anime giapponese “Lady Oscar”. In tanti ne ricorderanno la storia, ben riassunta nella sigla iniziale, ma siamo certi di ricordare qualcosa in più del fatto che il padre voleva un maschietto e invece nasceva la femminuccia cresciuta a duelli e dedizione alla corona francese nel ventennio antecedente la rivoluzione? Bastano poche domande per mandarci in crisi di memoria: chi ricorda se Lady Oscar si è mai innamorata, prima di consacrarsi al fido Andrè? E ricordate quale musica suonava Terence, con l’armonica a bocca, mentre Candy Candy, la donna con il nome di una lavatrice, era rinchiusa nella torre? Quanto erano lunghi i campi da calcio di Holly e Benji e quanto erano i lenti i giocatori che impiegavano più di una puntata per portare a termine un’azione da goal?
Sembrano domande inutili e banali, e forse lo sono di sicuro, ma hanno un potere terapeutico importante: ci fanno tornare indietro in un passato di giovinezza, facendoci collegare a una serata con i genitori, un pomeriggio con gli amici, a quelli con i quali siamo rimasti in contatto e a quelli che… chissà che fine avranno fatto. Ci fanno ricordare chi era di destra, chi di sinistra e chi di centro (qualcuno era ondivago!). Ci proiettano in una dimensione e una realtà sicuramente più lenta di quella odierna, meno globalizzata, di quartiere, di prossimità, quando anche spostarsi da una città all’altra della stessa regione era più complicato che volare da Roma a Londra, ante-pandemia.
E se non riusciamo a sforzarci, anche solo per soddisfare il desiderio della ricerca del dettaglio perduto, di nascosto ricorriamo a You Tube e a Wikipedia per leggere un qualcosa che, al pari della madeleine proustiana immersa nel tè di tiglio, ci proietta indietro nel tempo, con il desiderio di raccontare questa esperienza a chi l’ha vissuta con noi o alle nuove generazioni del tutto indifferenti alle cose passate.
Ma proprio perché generazione di mezzo abbiamo l’obbligo di non fermarci a ricordi nostalgici, a giochi di memoria per riscoprire un passato che non tornerà e che, sicuramente, il tempo trascorso ci mostra eccessivamente edulcorato; dobbiamo concentrarci sul presente, prendere per mano i giovani, oggi privati dei rapporti in presenza a causa della pandemia e, pur partendo dai nostri dettagli perduti, entrare nelle loro dinamiche, comprendere il momento difficile che vivono, oggi più che mai, vedendosi sfuggire la giovinezza chiusi tra le mura domestiche, opacizzati dinanzi gli schermi di computer e smartphone, mascherando la nostra angoscia, infondendo loro fiducia, ancor più di come potevano fare i nostri avi, sicuramente chiusi in schemi mentali più rigidi dei nostri.
Lo dobbiamo fare oggi più che mai, in un periodo dove l’ascensore sociale è in panne, rappresentando che non occorre perseguire l’obiettivo di raggiungere e superare i risultati conseguiti dai genitori, ma trovare una propria dimensione, perfettamente integrata in un progresso talmente veloce e diffuso che nulla può fermarlo, a eccezione di… un minuscolo e invisibile virus, al pari del paradosso dell’elefante che si fa intimorire dal topolino.
Ma non tutti sanno che si tratta di un luogo comune, perché in natura l’elefante non teme assolutamente il piccolo roditore, quindi, pur dovendo temere il virus, non possiamo arrenderci e abbiamo l’obbligo morale di proiettarci nel 2021, auspicando che sia un anno di rinascita e di ricostruzione di un mondo nuovo, aiutando i nostri ragazzi a spiccare il volo perché: “siamo angeli con un’ala soltanto e possiamo volare solo restando abbracciati“.
Oggi solo abbracci virtuali, ma presto torneranno a essere baci e carezze.