Caro direttore,
sono nato in una famiglia antifascista. Di quelle che lo erano davvero. Dove esserlo ha significato la rovina economica, il confino, la prigione, l’esilio, le fughe in montagna e qualche pallottola assestata a freddo. Di quelle che non danno scampo. Niente di personale, si suppone, come sempre si giustificano i criminali. Sono antifascista anch’io? Inevitabilmente, direi, senza se e senza ma. In famiglia abbiamo fatto tutti le stesse cose e le stesse scelte? Certo che no. È stato un bene o un male? Quello che ne è venuto è comunque un bene, una prova di tutto il bene che ci siamo voluti e che ne è uscito vincitore. Cosa ne sarebbe stato se ciascuno di noi non avesse scelto con lealtà e passione il proprio cammino verso la verità, continuando a guardarci negli occhi con tenerezza e desiderio di bene? Poteva qualche parola d’ordine o qualche formuletta magica tenerci di più insieme? Ne dubito.
Come mi sento di questi tempi? Mah, fortemente irritato dagli sgangherati revanscismi. La tragedia storica si ripresenta solo come farsa, anche se con conseguenze a volte cruente. Ugualmente irritato, così, dalle becere reazioni a catena, in genere simmetriche quanto a profondità di argomenti, appena un po’ più decenti quando espresse in sedi istituzionali, con le solite doverose parole di circostanza. Cinica equidistanza? Me lo sono chiesto, con un po’ di timore. Ma penso proprio di no. È piuttosto la sensazione di essere tirato dentro a un grande gioco tipo “uno, due, tre, stella”. Allo scattare della parola d’ordine tutto si deve fermare così com’è, anche in piedi su una gamba sola, nel caso. Ogni azione viene paralizzata e ogni suono si spegne. Resta solo il rumore di fondo di un dibattito surreale destinato a spegnersi e disperdersi nella stessa dimensione da cui era nato: il nulla. Non è però che il nulla sia senza conseguenze. Come un buco nero, assorbe e distrugge la luce. Sia chiaro: molte altre vicende umane si svolgono con la stessa dinamica di oscuramento della realtà, a volte persino con la sua esplicita denegazione.
Qui c’è però qualcosa di più. Come il desiderio di riportare continuamente le lancette dell’orologio alla stessa ora: una comfort zone spazio-temporale dove tutte le complicazioni interpretative sono eliminate. Bianco o nero, o rosso o nero, fate voi. Non è solo che, al contrario che nel mondo reale, le infinite sfumature di grigio o di rosa (a piacere) sono opzioni inesistenti, ma lo è – ed è molto più grave – anche ogni mossa verso il resto della tavolozza. Che pure esiste e ci offre una ricchezza tutta da esplorare.
E non basta nemmeno capire e condividere che nel secolo di grazia n. 21 essere antifascisti senza essere contemporaneamente anticomunisti, antijihadisti, antiterroristi ecc. ecc. ecc. è solo un inganno verso sé stessi e verso chiunque calpesti la cruenta polvere del pianeta. Il mondo continua, nonostante tutto, a girare, sempre più velocemente. Le minacce alla nostra dignità, alla nostra libertà, alla nostra stessa sopravvivenza sono sempre più numerose e di origini sempre nuove e diverse. Certo, i due vecchi simulacri del fascismo e del comunismo sono sempre tra noi, capaci di presentarsi in forme nuove e inattese. Ma le cose si fanno maledettamente complicate. Vedere i cortei di antifascisti che sfilano al seguito delle bandiere che coprono il terrorismo islamico suscita un certo ribrezzo. Così come lo suscita il pervicace negazionismo dei crimini del comunismo o della colpevole indulgenza verso nuove forme di imperialismo dittatoriale, assolte grazie alla loro ipocrita assunzione di “denazificazione”.
Basteranno le braccia romanamente tese di qualche centinaio di clowneschi idioti a dare luce verde a questi nuovi mostri assetati di potere? Forse non da noi, finché protetti dallo scudo NATO o finché dura in qualche modo la coesione europea. Ma basta aspettare che la disinformazione, la sciatteria e l’ignavia facciano il loro corso e sarà solo questione di tempo.
A cosa ci basterà sfilare dietro qualche striscione antifascista se questo è stato per decenni solo il modo di girare la testa dall’altra parte per non affrontare la realtà, i problemi della nostra difesa, di un nostro non ambiguo posizionamento in politica estera, della produttività del nostro sistema economico e delle nostre funzioni amministrative? Se la priorità è sempre essere “anti” invece che “pro”, l’impigrimento mentale e morale che ne deriva non comprometterà solo la nostra lucidità di analisi, ma anche le nostre capacità creative, i nostri desideri di esplorare il nuovo e, perché no, la nostra demografia. Senza queste cose può davvero sopravvivere una democrazia sostanziale?
La questione, quindi, non è per nulla banale. Forse c’è davvero bisogno che la nostra Costituzione sia sottoposta non a qualche riforma, ma a una profilassi a tutto campo, un trattamento anti-age che tolga ogni alibi alle derive che rispettano la lettera per uccidere lo spirito. E non basterà a toglierci d’impaccio qualche manipolazione verbale, qualche indice dei termini proibiti e dei termini consentiti, degli appellativi nobilitanti e di quelli di inappellabile condanna. Qualcuno ci sta tentando davvero, ancor più pericoloso di chi sta ammassando testate atomiche che potrebbero non essere mai usate, al contrario della neolingua.
Discorso che ci porta lontano, ma neanche tanto. Lasciarci intrappolare nel perimetro di un nome che, per quanto sinonimo di atteggiamento corretto e virtuoso, è sempre un lasciar definire la nostra coscienza e la nostra libertà da una precaria definizione di bene e male frutto di circostanze transitorie, cioè da cose in qualche modo create da altri. In nome del nome più bello possiamo essere manipolati e diventare a nostra volta operatori di manipolazione. Per questo il Nome più nome di tutti i nomi non deve essere nominato invano. Fallo da rigore, che non a caso merita la piazza d’onore tra i crimini a nostra portata, gli altri vengono tutti a seguire (adulterio, furto, omicidio, femminicidio, ci mancherebbe, ecc.).
Comunque, viva la Repubblica e viva la Costituzione, a scanso di equivoci e di zelanti pasdaran.
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