Caro direttore,
leggendo l’ultimo editoriale di Fernando De Haro mi sovvengono alcune domande che da tempo mi pongo su come dei fratelli nella fede cattolica guardino alla politica e quali siano le loro preoccupazioni.

In fondo il pezzo di De Haro è riassumibile in “attenzione pericolo”. Pericolo sovranista. E detto a 5 giorni dalle elezioni politiche significa “non votate centrodestra che è sovranista”. De Haro scomoda l’Action française di inizio 900 per dirci che il sovranismo del secondo millennio ci porterà li dove indicava Maurras (il suo ideologo), ampiamente sconfessato da Pio XI. Quale attinenza storica tra i due sovranismi vi sia, a parte che si chiamano entrambi così, De Haro non ci spiega. Sono sovranismi e in quanto tali sono sbagliati. Inoltre la pregiudiziale di questo ragionamento sta che una tale politica sovranista non si è mai vista attuata e dire che sicuramente sarà sbagliata è ideologico. Convengo che vi sono cose sbagliate, che si capiscono essere sbagliate prima di averle provate, ma se si provano si può essere più certi. Ma se posso convenire con De Haro sull’Action française, non convengo affatto sul sovranismo di oggi.



Intanto occorre dire che l’attribuzione del “sovranismo” ai partiti di destra o centrodestra europei di questa fase storica non viene da essi stessi, ma dai media che stanno dall’altra parte e che hanno coniato questo epiteto per estrometterli dal dibattito pubblico dandone una connotazione a priori negativa. L’establishment mediatico europeo e occidentale in genere conia epiteti sempre per mettere all’angolo, creare mostri, evocare ataviche paure, che è la stessa cosa che fa Enrico Letta (Pd) quando evoca il pericolo “fascista”.



Ma se guardiamo alla realtà nel suo complesso, siamo veramente sicuri che questa paura sia reale e ragionevole? Ovvero che i partiti di centrodestra, a noi più consoni e affini per concezione della società e dell’uomo (con buona pace di chi sceglierà il terzo polo), vogliano veramente un ritorno agli Stati nazionali europei senza alcuna comunità europea? O forse questo cosiddetto sovranismo non è nient’altro che la naturale e spontanea reazione di una società violentemente e arbitrariamente costretta per decenni nei limiti di artificiale globalismo?

Ad esempio la vittoria del centrodestra in Svezia non ha molto a che fare con la geopolitica svedese, la cui collocazione internazionale rimarrà intatta. Invece ha sicuramente a che fare con il fatto che i socialdemocratici non sono stati in grado di portare un po’ di ordine e sicurezza nelle società multiculturali urbane che in base ad astratte concezioni egualitarie hanno deciso di creare nella loro patria. Ovvero hanno testardamente importato migrazione per scardinare ogni costume tipicamente nazionale e davanti allo sfascio sociale prodotto hanno girato il capo dall’altra parte, per non vederne gli effetti che avrebbero costretto ad un ripensamento del piano iniziale. In Svezia oggi si contano più di 60 enclavi urbane che sono off limits per le forze dell’ordine.



Stessa cosa dicasi per coloro che vengono blanditi come euroscettici e pronti allo sfascio, perché osano criticare l’Unione Europea, la Commissione  il Parlamento quando queste istituzioni, attraverso atti formali, si mostrano con il loro volto sempre più frequentemente progressista, per non dire liberal o radical chic, contrario sino all’intolleranza verso qualunque forma di contestazione o resistenza verso ciò che si propongono di imporre. Non mi pare di aver letto una nota dispiaciuta di De Haro a proposito della votazione del parlamento europeo pro aborto come diritto umano. Forse si cerca di non vedere, di soprassedere. Ma a forza di soprassedere poi capita che ci pensi la realtà a sistemare le cose: ed ecco gli euroscettici in aumento (e con ragione). L’euroscetticismo non è la malattia, è l’inizio della cura, che come ogni cura tende a riequilibrare ciò che è sbilanciato.

E mi chiedo: ma quanto siamo distanti io e De Haro (il quale De Haro ha tanto a cuore questa Unione Europea e il suo establishment da prenderli acriticamente così come sono e l’idea di una società multiculturale come scopo messianico del cristiano moderno), che abbiamo e diamo priorità diverse a cose così importanti, che investono la visione dell’uomo e della società? Come mai questa distanza? Cosa è successo da creare uno iato politico e culturale di questo genere dentro la stessa Chiesa cattolica? Quale tra queste due posizioni rappresenta l’anima secolarizzata e relativista che tanti Papi hanno accusato essere penetrata dentro la Chiesa?

Anche i cosiddetti cattolici progressisti, però, dovrebbero avere un minimo di onestà intellettuale per dire le cose come stanno, senza mistificazioni, senza inventare gratuitamente paure e facendo paralleli storici improbabili.

Chiudo dicendo: sicuramente la comunione tra noi cristiani è difficile, ma non impossibile. E se ci dovesse essere comunione, sarebbe un autentico miracolo dello Spirito, vista la diversità. Resta in campo un problema di verità.

Lodovico Forno

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