Caro direttore,
questa mattina ho letto l’accorato appello di Jacopo Merani (detenuto nella casa di reclusione di Padova).
Jacopo racconta che ha visto «collassare il suo mondo, quello del carcere di Padova». Non si tratta soltanto delle visite familiari e delle attività rieducative (come quelle della Cooperativa Giotto) sospese a causa dell’emergenza sanitaria. Tutti i cittadini hanno sofferto a causa delle restrizioni causate dal Covid e sappiamo che l’epidemia ha provato le capacità dell’amministrazione penitenziaria, aggravandone le ristrettezze e le difficoltà. Queste restrizioni hanno colpito e colpiscono non soltanto il carcere, ma anche gli ospedali e, più in generale, la popolazione.
Ciò che più rattrista Jacopo (e che rattrista anche me) sembra essere altro: «La cosa che più di tutte toglie gioia al mio cuore è che sarà una domenica senza Messa, senza la Parola del Signore e nessun Corpo da far nostro. Non vorrei essere blasfemo, ma più che un giorno di Risurrezione, a me sembra un periodo di distruzione».
Fa impressione che tutto questo accada proprio a Padova in uno degli istituti che è esempio di rieducazione e per molti uomini possibilità di cambiamento. Non conosco la situazione presente nel carcere di Padova e sono sicuro che le difficoltà del Covid e le restrizioni della legge non sempre permettono alle autorità di realizzare tutte le iniziative che pure desidererebbero consentire. Tuttavia, sarebbe un peccato se (e, non conoscendo la situazione, dico “se”) per comprensibile rassegnazione a una difficile situazione o per mancanza di intraprendenza non si cercassero soluzioni per portare anche in carcere la speranza della Resurrezione (ad esempio, messa a turni, all’aperto, in video-collegamento ecc.).
E sarebbe ipocrita da parte di noi cittadini proclamare continuamente “la finalità rieducativa della pena” scolpita in Costituzione (spesso confusa con una diseducativa assenza di punizione) e poi voltare la faccia a una persona senza almeno manifestarle la nostra vicinanza.
Facendo mio il desiderio di Jacopo, ed estendendolo in generale con riferimento a tutte le carceri in Italia, mi appello a tutte le istituzioni perché non lascino nulla di intentato e perché, anche dove non sia possibile garantire la celebrazione, facciano sentire ai carcerati la loro vicinanza. Altrimenti la detenzione più che della rieducazione avrebbe il sapore dell’abbandono.
La tristezza di Jacopo ci interroga. Crediamo ancora che i carcerati nonostante il male commesso possano dare un contributo alla società e vivere una vita degna di essere vissuta? E che la Pasqua possa essere anche in carcere un momento di Risurrezione e non di distruzione?
Caro Jacopo, non ci conosciamo. Da fratello nella fede, comprendo il tuo desiderio di celebrare la Pasqua. Le tue domande sono anche le mie, anche se non sempre – nelle mutevoli circostanze – incontrano una risposta come immediatamente l’aspetteremmo.
Con questa lettera, oltre a far mio il tuo appello e a contribuire a diffonderlo, spero di esserti compagno in queste domande e ti auguro una Santa Pasqua.