Caro direttore,

nel suo editoriale sul Sussidiario di ieri, Ciro Acampora ha posto con lucida onestà intellettuale domande importanti e tutt’altro che comode: anzitutto per chi, come lui, conserva il coraggio di suscitarle – dal Sud – nell’Italia del 2020.

Il Meridione può essere una soluzione per la nostra economia? La questione meridionale è stata reale o è stata un’invenzione culturale? È stata risolta o è tuttora irrisolta? La sua centralità, affermata dal meridionalismo, è stata merito di studiosi e politici perché reale o perché costoro sono stati bravi a far diventare centrale un tema che non esisteva?



Acampora offre risposte compiute e argomentate: che riflettono fra l’altro contenuti e stile del lavoro culturale svolto negli anni sul tema dalla community del Sussidiario e della Fondazione per la Sussidiarietà. Quindi, la questione meridionale è reale e attuale; e non affrontarla – per esempio pretendendo che il Sud risolva ora “problemi suoi a casa sua” – sarebbe un errore grave per l’intero Paese. E la disarticolazione del sistema-Italia – per esempio attraverso lo sviluppo disordinato di un federalismo conflittuale e separatista – non è un’opzione.



Personalmente mi trovo a sottoscrivere tutte le posizioni di principio dell’editoriale (salvo che, in parte, lo specifico passaggio conclusivo; ma di questo di seguito). La questione meridionale resta sicuramente la declinazione più visibile della grande sfida delle pari opportunità nel Paese: che la Costituzione non circoscrive nello spazio e nel tempo, ma indica come missione civile permanente per tutti i cittadini della Repubblica, a beneficio di tutti.

Accompagno la mia condivisione indirizzando in breve al Nuovo Meridionalismo un augurio e quattro attese.

L’augurio è che un Governo come quello in carica – composto in misura preponderante come non mai da esponenti politici eletti nel Centro-Sud – possa rilanciare la questione meridionale finalmente in termini realizzativi. L’emergenza Covid sta affidando al governo Conte-2 poteri straordinari e l’Ue ha promesso aiuti finanziari eccezionali: anche per fare della stagione di recovery post-pandemia un volano per le politiche di contrasto alle diseguaglianze ancora elevate fra i territori dell’Unione. 



La prima attesa-warning riguarda invece alcuni toni revanscisti levatisi dal Sud  – anche dall’interno dell’esecutivo – già prima della pandemia. Personalmente li trovo errati e controproducenti: il Nuovo Meridionalismo, a mio avviso, dovrebbe distanziarsene e tentare di correggerli. Il Mezzogiorno non ha bisogno di #SudToo.

Un secondo rischio sembra quello che una nuova fase di stimolo socioeconomico al Sud s’inserisca tout court in una brezza neo-statalista che sembra ogni giorno di più trasformarsi in vento. Un vento che ha già spazzato a lungo il Sud: che non sembra aver bisogno ogni di una nuova Cassa del Mezzogiorno, quanto di liberare le sue energie di imprenditorialità e knowledge economy, notevoli e sempre inespresse. Il rilancio – privato e imprenditoriale – dell’Ilva può essere certamente un’opportunità simbolica guardando al futuro; non invece una frettolosa restaurazione del passato con il pretesto della “crisi epocale”.

Sul simmetrico piano istituzionale, una terza preoccupazione è che il Nuovo Meridionalismo non decolli come battaglia civile, ma si ritrovi veicolo di una battaglia politica di parte: perché questo può apparire – forse con qualche riverbero dall’interno della nuova zona rossa lombarda – il progetto di revisione-cancellazione delle riforme del Titolo Quinto della Costituzione annunciato nei giorni scorsi dalla maggioranza parlamentare (è il tema che l’editoriale tocca in chiusura, peraltro in termini problematici).

Un quarto e ultimo spunto di riflessione giunge dal cogliere – talora in uno stesso “spirito del tempo” – il riemergere della questione meridionale vicino a nuove pulsioni politico-culturali di natura antagonista e utopista. Se Acampora mostra di tenersene lontano, privilegiando il linguaggio della più una seria analisi economica, in troppe occasioni nell’ultimo secolo al Sud è stato assegnato – o autoassegnato – il ruolo di “laboratorio”. L’esigenza di risolvere problemi socioeconomici reali si è mescolata spesso con l’ambizione di sperimentare al Sud “nuovi modelli”: il recupero dei ritardi come catapulta per “superare” l’esistente. Non so se l’augurio è troppo ruvido, ma vuol essere autentico: il Mezzogiorno dovrebbe puntare a fondersi (che non vuol dire “omologarsi”) con l’Italia e l’Europa. A non far infine più notizia con la sua “questione”.

P.S.: Sottoscrivo l’invito di Acampora di reintrodurre la parola “Mezzogiorno” della Costituzione. Ma a una condizione: di introdurre contemporaneamente ex novo nell’articolo 41 la parola “impresa”, tuttora sconosciuta alla Carta. Meglio ancora se l’articolo venisse così riformulato: “L’impresa privata è libera di competere nel mercato. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” .