Caro direttore,
vedo con un sentimento misto di preoccupazione e di sorpresa quanto emerge in questi giorni dalle riflessioni di alcuni articoli del quotidiano da lei diretto e dai “fatti” e “non-fatti” che si vedono ormai ad occhio nudo. Mi riferisco alle considerazioni sul comportamento del Governo e della maggioranza che lo sostiene, che lasciano intendere un progetto antidemocratico.
Probabilmente cominciamo a capire meglio cosa sia quel “nuovo umanesimo” di cui l’anno scorso Conte ha parlato in modo forse apparentemente vago e generico, ma che ora appare – cosa che egli aveva espressamente escluso – come una sorta di “programma di governo”. Conte, che non ha mai avuto alcuna investitura popolare, si sta rivelando sempre più funzionale a creare un ordine coerente con i desiderata dei cosiddetti Poteri Forti, cioè di quei poteri che prediligono una democrazia formale ma non sostanziale, che trasformano gradualmente e surrettiziamente le elezioni popolari, tipiche di una democrazia reale, in quelli che Mussolini, senza eufemismi, definiva “ludi cartacei”.
Tali “giochi” possono illudere che la democrazia continui ad esistere, in realtà la spingono verso una china che porta con gradualità all’affermarsi di una concezione atomizzata di una società che ignora sempre più il valore della persona (“imago Dei”), portando allo svuotamento dei princìpi di sussidiarietà e di solidarietà, cioè dei due princìpi fondamentali della Dottrina sociale della Chiesa, che esprimono il “vero” interesse per la Persona e per la sua natura “intrinsecamente sociale” (Mater et Magistra, 203) che la fa essere embrionale immagine della stessa Trinità divina. I “valori” a cui Conte guarda non sono certamente questi.
La crescente disaffezione per le tornate elettorali e per la partecipazione attiva alla vita dei partiti è preoccupante conferma della scivolosità del piano inclinato che il Paese sta percorrendo. La cosa forse più preoccupante è però l’irrilevanza politica dei cattolici, orientati troppo spesso ad una opposizione inconcludente, che contrappone altri valori, i propri, ma spesso in modo solo ideologico e, quindi, scende sullo stesso “terreno”: le “radici” cristiane della nostra storia non si affermano sventolando crocifissi e rosari e predicando un populismo che sempre più appare copertura di quel sostanziale individualismo che caratterizza la nostra società ormai quasi … gassosa, più che “liquida”!
I “valori non negoziabili” di Conte sono il primato della persona, il lavoro come valore sociale, l’uguaglianza in tutte le sue declinazioni, la laicità e il rispetto delle istituzioni: tutti valori che cessano di essere tali quando vengono scissi dalla Radice della nostra tradizione cristiana che li ha generati; ce lo ricordava già Tertulliano sul finire del II secolo. Scrivendo a Scapula, persecutore dei cristiani, afferma: “Rispettiamo l’imperatore nel modo che a noi è lecito e che a lui conviene, cioè come un uomo secondo dopo Dio”, perché, se non si mette prima Dio e poi l’imperatore (cosa che conviene all’imperatore stesso, giacché solo cosi “egli è maggiore di tutti in quanto è inferiore solamente a Dio”), tutto viene sovvertito e la persona è asservita al Potere politico. Può apparire paradossale, ma solo una religione vera rende capaci di vera laicità, perché occorre una religiosità profonda per dire con verità “A Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”.
Il referendum del 29 marzo è stato voluto per ostacolare un ritorno alle urne. Poiché è propositivo non ha un quorum: vedremo la vittoria del Sì (è facile previsione), perché molti saranno spinti a mandare a casa questa massa di parlamentari eletta nel 2018 con una legge non coerente con la Costituzione (come avvenne anche nel 2006, 2008 e 2013, perché anche il Porcellum e l’Italicum furono riconosciuti dalla Consulta non coerenti con la Costituzione, come fu per il Rosatellum).
Non entro nel merito della riduzione della capacità di rappresentanza del territorio che la riduzione comporta, senza alcun vero vantaggio, perché una riduzione ben più consistente della spesa si sarebbe potuta ottenere riducendo le rilevanti indennità di carica e i benefit degli eletti; ciò che è più grave è il fatto che non si sia data priorità alla redazione di una buona legge elettorale, la cui mancanza procrastinerà ulteriormente la possibilità di tornare alle urne per un nuovo Parlamento, eletto nel rispetto dei princìpi della vigente Costituzione. Non vorrei che, per poter ritardare le elezioni oltre il termine dei 5 anni, si ricorresse alla dichiarazione di guerra (magari contro lo Stato del Vaticano o il Lussemburgo), per rispettare il dettato dell’articolo 60 della Costituzione!
Già nel famoso Sillabo del 1864 Pio IX condannò il tentativo della cultura laicista e massonica di considerare lo Stato come “origine e fonte di tutti i diritti”, stravolgendo il principio che afferma il primato assoluto della persona, primato che ha fondamento nel “riconoscimento” di un’origine che è a monte dello Stato stesso: lo riconosce la stessa Costituzione, quando recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo” (art.2). Capite? “Riconosce”, non: “fonda”!
Abbiamo abolito le preferenze, le liste sono fatte dai vertici dei partiti, che le riempiono di fidati “clientes” (preferiscono farsi chiamare “responsabili”!), usi ad obbedir tacendo: che si vuole di più, per rendere efficiente la macchina statale?
Si potrebbero abolire le elezioni, sostituendole con qualche rapido sondaggio d’opinione, magari effettuato per via elettronica! Varrà la pena – mi chiedo e chiedo ai suoi lettori, caro direttore – andare alle urne e diventare corresponsabili e conniventi con questa disfatta della democrazia?
A volte mi chiedo se non sia meglio, per i cattolici, farsi da parte. Una nuova DC non ci sarà più: è tramontata come la nostra giovinezza. Credo sia opportuno costruire dei luoghi in cui i cattolici, con altri cristiani e con laici che siano davvero tali (ai laicisti facciamo fare … i girotondi!) recuperino i valori della nostra cultura e della nostra storia, che ha innegabili radici ebraico-cristiane: si discuta, ci si confronti e poi… nel contingente, visto che già la Octogesima adveniens di San Paolo VI ha riconosciuto – a certe condizioni indicate ai nn. 4 e 50 – la legittimità di diverse opzioni politiche, ognuno voti secondo la sua retta coscienza (non semplicemente secondo “quel che gli pare”!), ma intanto si lavori in profondità, per dare solidità alla nostra convinzione che fede e ragione si sostengono reciprocamente.
Dimostriamo una buona volta che abbiamo la consapevolezza che la proposta cristiana è più ragionevole anche in campo sociale e politico! Questa è la sfida già indicata da Leone XIII nella Immortale Dei (1885): la Chiesa pensa alla vita eterna, ma proprio per questo Essa “reca tali e tanti benefìci, quali più numerosi e maggiori non potrebbe se fosse stata istituita al precipuo e prioritario scopo di tutelare e assicurare la prosperità di questa vita terrena” (1).
Al servizio di tutti, ma subalterni culturalmente a nessuno! Perché? Non per arroganza, ma perché… se il sale diventa insipido non serve a nulla! Qual è il progetto politico? Una comunione vera, che renda l’uomo sempre più Uomo, perché il Dio vero è una Unità che abbraccia nel suo seno la relazione! Da questo il mondo sarà affascinato, da questo potrà riconoscerci alla sequela di Cristo.