Caro direttore,
non solo perché ne porto il nome di battesimo – essendo nato a Padova – la vandalizzazione della statua di Sant’Antonio davanti alla parrocchia milanese a lui intitolata mi ha colpito e amareggiato. 

Ha meritato non più di una fotonotizia di copertina e di un articolo interno nella cronaca locale del principale quotidiano della città, zero righe in altre cronache locali. Un “fattaccio” e nulla di più; una bravata notturna in una delle zone della movida metropolitana. Può darsi: anzi è verosimile che sia così. A meno che – ma appare improbabile – su qualche social non compaia qualche rivendicazione politico-culturale: come quando, tre mesi fa, la statua di Indro Montanelli fu irrisa da una secchiata di vernice rossa.



Allora le luci dei media furono molto intense. I difensori di Montanelli hanno scomodato la “cultura dell’odio”, ribaltandone l’accusa contro i suoi martellanti alfieri nel campo cosiddetto “politicamente corretto”. Si è evocato il contagio della cancel culture dilagante nei campus e sui grandi media statunitensi: implacabile contro chiunque sia oggi portatore di “identità” divisive a prescindere, su qualsiasi terreno (radici etnico-geografiche; gender e orientamenti sessuali, politico-culturali; non da ultimo: religiosi). Coloro che hanno giustificato i vandalizzatori di Montanelli in effigie ne hanno infatti rammentato l’episodio – mai rinnegato dal giornalista – del matrimonio con una ragazzina etiope, al seguito della spedizione “imperiale” dell’Italia fascista. Un personaggio così – per la cultura “PolCorr” – non può che meritare l’inferno di un oblio disonorevole. Non diverso – peraltro – da quello comminato a Flannery O’Connor: grande scrittrice americana di novelle a metà del secolo scorso, fervente cattolica e convinta animalista. Il suo nome è stato tolto dal dormitorio femminile della Loyola University nel Maryland, dopo la scoperta di alcune espressioni razziste in alcune lettere private scritte da O’Connor teenager nel Texas degli anni 40. 



Per Sant’Antonio da Padova, per ora, nessun accusatore e nessun difensore. Nessun sospetto di “odio” o di furia iconoclasta “PolCorr”. Nessun interrogativo su un atto di sfregio al più celebre discepolo di San Francesco. Un religioso europeo nato in Portogallo e morto in Italia. Uno che – è stato scritto – era entrato nell’ordine francescano anche per aver ascoltato di passaggio i cinque frati che il santo di Assisi aveva inviato in Nord Africa. E avevano pagato con la vita la loro scelta di andare a predicare il vangelo cristiano fra gli islamici. Il vangelo di San Francesco: quello della fratellanza universale, della povertà, del rispetto della natura.