Caro direttore,
le guerre sono sempre state anche guerre di comunicazione. Per depistare l’avversario, per galvanizzare la propria popolazione, per impressionare quella del nemico. Siamo di colpo passati da una battaglia di informazioni pro o contro la vaccinazione di massa ad una battaglia tra le versioni dell’aggressore e dell’aggredito, tra la Russia e l’America, tra i buoni e i cattivi. Oggettivamente è più che lecito definire cattivi quelli che hanno cominciato, entrando con i carri armati in uno stato sovrano e infliggendo grandi sofferenze ad una popolazione.



Purtroppo non è tutto così semplice, perché ai più lucidi appare chiaro che i cattivi sono stati provocati, e che i cosiddetti buoni a loro volta da diversi anni a questa parte hanno ucciso 15mila persone tra i separatisti, commettendo anche inaudite atrocità.

Di questa guerra, che si svolge a poche centinaia di km da casa nostra, si sono subito impadroniti i media sia cartacei che televisivi, e con un approccio del tutto simile a quello con cui hanno trattato la pandemia. Speciali a tutte le ore, spariti i virologi sostituiti da esperti di strategie militari e generali in pensione, mentre hanno continuato però a imperversare conduttrici sculettanti o con tacco 15, petulanti ed evidentemente entusiaste di trovarsi a gestire immagini drammatiche invece dei soliti gossip. Gli opinionisti invece sono sempre gli stessi, confermando la vocazione tuttologa di molti giornalisti sempre meno capaci di fare inchieste approfondite. Quando non hanno avuto a disposizione le immagini cruente, le hanno prontamente sostituite con spezzoni tratti da videogiochi o da documenti di molti anni prima girati in altri paesi.



Anche in questo caso stiamo assistendo al totale dispiegamento di un pensiero unico, ovviamente facilitato dal fatto di assistere ad una guerra in diretta, con immagini estremamente forti e quindi assai adatte a sostenere posizioni manichee. Come nei film western prodotti a Hollywood, ai russi è stato assegnato il ruolo degli indiani cattivi, e nella guerra delle fake news tipica di ogni conflitto, quelle costruite ad arte sono state considerate – di default – solo quelle dei russi. Anche contro ogni evidenza. In questa sede si vuol parlare di come viene trattata la comunicazione, e di come la comunicazione abbia svolto un ruolo chiave nel dare fuoco alle polveri.



Per rovesciare il governo filo-russo cosa hanno immaginato di là dall’oceano? Hanno preso un bravo comico, gli hanno fatto interpretare per tre anni il ruolo di un cittadino che si mette in testa di combattere la corruzione diventando un eroe popolare. Poi hanno fatto partecipare alle elezioni l’eroe televisivo impegnandolo in una campagna elettorale sostenuta da enormi finanziamenti (campagna che portava lo stesso nome della fiction!) e che naturalmente è stato eletto con il 72% dei voti.

Dal punto di vista tecnico, la fiction è stata una perfetta azione di pre-marketing, e la campagna una corposa operazione di marketing elettorale: un caso da manuale. Così oggi chi sostiene la causa degli aggrediti ha buon gioco nell’affermare che si sta cercando di sovvertire un governo democraticamente eletto per metterci un governo-fantoccio… quando l’attuale è altrettanto fantoccio, ed è stato eletto democraticamente solo dal punto di vista formale.

C’è un altro fatto da prendere in considerazione: mentre durante la pandemia è stata usata la paura del virus a piene mani per sostenere una politica vaccinale che la prestigiosa rivista scientifica Lancet ha appena definito la meno efficace di tutte (analizzando il rapporto restrizioni, vaccinazioni/contagi e morti), nel caso della guerra in corso si sfrutta l’impatto dei bombardamenti e dei rifugiati per colpire i teleutenti al plesso solare e impedire qualsiasi riflessione di carattere generale.

In entrambi i casi si è usata e si usa a piene mani la neo-lingua di orwelliana memoria: cambiare il significato delle parole per cambiare la realtà. Così sono stati chiamati vaccini dei farmaci tuttora sperimentali. Nel caso della guerra, si è giunti a fare assai di più: ricalcando alla lettera la trama di 1984, in cui il protagonista, Winston, lavorava al Ministero del Sapere riscrivendo il passato cambiando le notizie o facendole sparire. Così ha fatto un quotidiano di grande tradizione come La Stampa, che ha fatto sparire dall’archivio on line un articolo in cui Maria Grazia Bruzzone spiegava con dovizia di particolari che l’esercito ucraino era infarcito di formazioni neonaziste, e che “all’occidente andava bene così”. Pochi giorni dopo La Stampa ha fatto di peggio: ha pubblicato in prima pagina una grande foto della strage provocata a Donetsk da un missile ucraino, sostenendo trattarsi di un missile russo a Kiev.

Nel frattempo vediamo in tv orde di pacifisti che inneggiano a Zelensky (molto abile a commuovere i parlamenti che accettano di ascoltarlo per solidarietà) che implora una “no fly zone” che scatenerebbe la terza guerra mondiale, e chiede armi che andrebbero in mano ad una resistenza impossibile fatta anche da ragazzini. E ci possiamo immaginare le immagini terribili che poi potremo vedere.

Nel frattempo, sui mass media c’è un gran silenzio sui numerosi laboratori di armi batteriologiche (si parla di 20, 13 sono quelli ufficialmente finanziati dal Pentagono) posti in Ucraina ai confini con la Russia.

Alcuni sostengono che la guerra sia stata decisa proprio per distruggerli ed eliminare una minaccia molto pericolosa. Su questo tema gli americani hanno cercato di fare del fumo sostenendo – come ha fatto con enorme improntitudine Kamala Harris a Varsavia – che i russi potrebbero usare armi chimiche. Il che si è rivelato un clamoroso autogol quando la sottosegretaria Nuland in una audizione al Senato Usa ha parlato del pericolo che i laboratori ucraini caschino in mano russa con tutto il loro pericoloso contenuto.

Un tempo si diceva che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Ben presto scopriremo cosa c’era dentro.