Caro direttore,
è incredibile la potenza di quello che sta accadendo. In questi giorni non mi resta che stupirmi delle persone che mi sono intorno.

Sono un insegnante di Lettere di una scuola media di Rho e, come tanti altri insegnanti in questi giorni, non posso recarmi a scuola per lavorare insieme a colleghi e alunni. Molti amici hanno simpaticamente ironizzato su questa vacanza forzata, vista da loro come l’ennesima fortuna degli insegnanti che si fanno tre mesi di vacanza; invece quello che vivo insieme ai miei colleghi è tutta un’altra storia.



C’è la preoccupazione di non poter aiutare gli alunni come sempre, di far loro notare che quello che abbiamo studiato finora può essere già un antidoto contro la noia, di sostenere le famiglie che si trovano destabilizzate nella loro quotidianità e di dare valore al lavoro senza pensare soltanto a “rattoppare” queste settimane.



Ognuno di noi si sta mettendo in gioco secondo le proprie mansioni: c’è chi si occupa di trovare gli strumenti adatti, chi verifica la funzionalità delle piattaforme, chi si assicura che in tutto questo la privacy e la sicurezza online dei ragazzi siano salvaguardate e chi si occupa di creare il nuovo orario per le lezioni in streaming. Ogni giorno si pensa a un lavoro nuovo e che sia utile ed efficace. Le domande sono tante e ogni giorno ne nascono di nuove: non è scontato nemmeno che in tutte le famiglie sia disponibile un computer per ogni componente della famiglia, quando i figli sono due o tre e i genitori lo utilizzano per il lavoro personale, non sapendo quindi come metterli nella condizione di assistere alle lezioni online.



In tutta questa instabilità, quello che però emerge tra colleghi e nei colloqui con i genitori, che abbiamo attivato in modalità videoconference, è la voglia di poter condividere anche da lontano il tempo in modo efficace e bello, il continuare a educare e fare scuola insieme imparando nuove cose e il prendere coscienza che un virus non ferma il desiderio di diventare più uomini.

Andrea Regarbagnati

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