Caro direttore,
sta continuando a far discutere il tweet di padre Bartolomeo Sorge sul doppio esito elettorale di domenica scorsa: “Due Italie. Emilia-Romagna: benestante, guarda al futuro, rinvigorita dalla linfa nuova delle “sardine”. Calabria: ferma al palo, si affida al congenito antimeridionalismo della Lega, senza speranza”.
L’autorevolezza del punto di vista ha suscitato una giusta attenzione: ben al di là di qualche polemica distorta sul tono della preoccupazione di padre Sorge per la Calabria. Non sembra corretto giudicare in sé nemmeno l’evidente soddisfazione espressa dall’ex direttore di Civiltà Cattolica: è nota, consolidata e argomentata la sua opposizione “antropologica” alla Lega di Matteo Salvini; così come una sua preferenza politico–culturale per le interpretazioni storicamente offerte dai leader cattolici di scuola bolognese. La posizione è stata riaffermata in modo chiaro e trasparente anche in ambito ecclesiale, durante un recente scambio mediatico fra padre Sorge e l’ex presidente della Cei, cardinale Camillo Ruini (che in Emilia è stato vescovo) sull’atteggiamento dei cattolici italiani verso Matteo Salvini.
La trasparenza concisa di padre Sorge offre ora l’opportunità di qualche nuovo appunto non di superficie: guardando ad esempio il cantiere aperto di un “nuovo partito dei cattolici”. Il pensiero del gesuita – tributato di recente di un pubblico omaggio da Papa Francesco – è certamente una fonte d’ispirazione di primo livello, in attesa del passaggio forse decisivo del convegno “The Economy of Francesco” in marzo ad Assisi.
Più che la Calabria, è il mezzo tweet sull’Emilia-Romagna a incuriosire. Padre Sorge stabilisce un legame multiplo fra: l’affermazione del centrosinistra a Bologna; l’essere la Regione un subsistema “benestante” del Paese; il suo “guardare al futuro” e infine il contributo di “linfa” dato dal “movimento delle sardine”. È un’articolazione che suscita numerosi spunti di riflessione.
Anzitutto: nella regione di Pierluigi Bersani e di Romano Prodi, il 34,6% registrato dal Pd (erede di Dc e Pci) è superiore di soli tre punti al 31,9% riportato dalla Lega. Alle precedenti regionali (2014) il gap era fra 44,5% e 19,5%, con M5s al 13,3%. Al voto politico del 2018, l’ordine d’arrivo in Regione fu: M5s al 27,6%, Pd al 26,4% e Lega ferma poco sopra quota 19%. Un anno dopo – un anno fa – alle europee la Lega divenne primo partito col 33,7%, il Pd risalì al 31,2% con un primo crollo M5s al 13,2% (domenica scorsa è precipitato infine al 4,7%).
C’è consenso fra gli analisti dei flussi sul fatto che l’elettorato M5s del 2018 sia rifluito nel 2019 per una prima metà in larga parte sulla Lega, rimanendovi a inizio 2020. I dem – e le liste civiche di affiancamento decisive per il successo di Stefano Bonaccini – avrebbero invece raccolto ora la meta residua, peraltro in un ben diverso contesto di compattezza M5s e di spinte esterne a favore del centrosinistra.
A scorrere queste traiettorie, non c’è dubbio che l’Emilia–Romagna “guardi al futuro” con un appetito di cambiamento addirittura impaziente. Che però questo futuro sia quello “dietro le spalle” – per quanto importante e vittorioso nella “battaglia difensiva” delle scorse settimane – sembra attendere ancora una verifica di medio periodo.
Sembra invece corretto affermare, anzitutto, che il voto di una Regione tradizionalmente “pilota” nel Paese – e mai “al palo” come purtroppo la Calabria – si propone come segnaletico di una ri-stabilizzazione degli assetti politici del Paese in chiave bipolare. E questo pone certamente questioni serie: a cominciare dall’orientamento dei vertici nazionali dei partiti per il ritorno a un sistema elettorale proporzionale.
Per quei cattolici che si stanno impegnando nella costruzione di un nuovo partito, gli interrogativi non appaiono di difficili ricerca : nel “format emiliano” (per padre Sorge esemplare e beneaugurante) che spazi elettorali vi sarebbero? In particolare: che appeal avrebbe oggi una leadership affidata a Giuseppe Conte, per due volte indicato a Palazzo Chigi da M5s? Il “nuovo partito cattolico” avrebbe lineamenti simili a quelli delle “liste Bonaccini”? A proposito: è su queste liste che è stata immessa la “linfa delle Sardine”? Con quali effetti reali e non solo mediatici? Il movimento guidato resta un oggetto misterioso non solo per le statistiche elettorali, ma anche per i report dei sondaggisti.
L’aspetto probabilmente più interessante dell’analisi-flash di padre Sorge appare tuttavia il riferimento all’Emilia “benestante”. In termini di analisi economica, l’accenno può essere sinteticamente ricondotto a due indicatori speculari: il Pil pro–capite e il reddito disponibile pro–capite. Una prima considerazione: le due Regioni “benestanti” confrontabili (Lombardia e Veneto) sono amministrate da giunte di centrodestra a guida leghista, con score elettorali molto più schiaccianti rispetto a quello emiliano (non da ultimo: l’Emilia vuole autonomia rafforzata non diversamente da Lombardia e Veneto). Il benessere (derivante anche da buona amministrazione regionale) e la voglia di futuro non sembrano prerogativa di chi vota per il centrosinistra: non almeno nell’Italia del Nord.
L’Emilia “benestante” – come tutto il “Grande Nordest” – resta in ogni caso un sistema socioeconomico resiliente perché sostenuto da una solida infrastruttura di imprese. È una Regione dove il reddito può essere distribuito perché prima continua a essere prodotto dai suoi imprenditori e dai loro dipendenti e collaboratori: Pil ed export, investimenti e innovazione, occupazione e, non da ultimo, gettito fiscale. E questa Emilia (che non è certo lasci fabbriche e uffici per affollare le piazze delle Sardine) oggi sembra votare per oltre il 30% la Lega.
Tutte e tre le Regioni portanti del “Grande Nordest” si presentano omogenee anche al test di una bassa diseguaglianza (l’indice Gini è sui livelli di un buon confronto europeo). Lo ha notato acutamente su Repubblica l’economista Alessandro Penati: rintuzzando le “narrazioni” secondo cui l’emergenza-diseguaglianza si proponga oggi come priorità politico-economica italiana. Appare più significativa la diseguaglianza interna in alcune Regioni del Sud rispetto a quelle del Nord. A essere “diseguali” sono le regioni più arretrate, non le più ricche ed avanzate.
La terapia – l’unica “speranza” possibile – per la Calabria come per altre regioni “al palo” secondo Penati ha un solo nome ripetuto: ripresa, ripresa, ripresa. Per questo, ha scritto l’economista sul grande quotidiano nazionale più vicino al centrosinistra, sarebbe un grave errore politico-economico mettere in agenda drastiche redistribuzioni fiscali (meno che mai una patrimoniale immobiliare; comunque mai partendo da posizioni ideologiche o elettoralistiche). La ricetta resta invece classica: investimenti pubblici in infrastrutture che stimolino quelli privati; e incentivi mirati alle imprese. Il contrario di ogni deriva regressiva di un populismo assistenzialista e statalista. L’opposto di una decrescita più o meno felice, volentieri green washed e tendenzialmente neo-pauperista. E’ il pensiero economico elementare di M5s: quello appena espulso, forse definitivamente, dall’Emilia–Romagna “benestante”, che “guarda al futuro”.