Nel suo recente editoriale intitolato “L’urgenza per l’Europa”, Fernando De Haro ricollega il momento attuale a Maurras e alla sua Action française del primo Novecento. Mi ha colpito in particolare un passaggio: “Non è un caso che Maurras torni oggi in libreria. Lo fa in un momento in cui un certo tipo di sovranismo, rivendicando i valori della famiglia, la dignità della tradizione, la “sicurezza etnica” e l’unicità delle strutture produttive nazionali, richiede “meno Europa”. Invece: “ In realtà, in questo momento, se la politica è concepita non come un progetto ideologico ma come uno strumento per soddisfare bisogni reali, la cosa più urgente e necessaria è rafforzare il progetto europeo”.
Vorrei fare all’amico Fernando alcune osservazioni. Innanzitutto, mi è incomprensibile il legame che pone tra sovranismo e la rivendicazione dei valori della famiglia. Come ho cercato di illustrare in un recente articolo sul Sussidiario, la progressiva imposizione di nuovi “valori” come il diritto all’aborto, all’eutanasia, alla decisione perfino “psicologica” del proprio sesso sono in diretta contrapposizione con la concezione cristiana della persona e della famiglia. Non solo, dovrebbero essere ostici a chiunque ha ancora contatto con la realtà e pertanto osteggiati per non soccombere a quella che si sta dimostrando un’ideologia imposta e sempre più dominante. Mi sembra che questo sia proprio un “progetto ideologico” ben lontano dal “soddisfare bisogni reali”.
La soluzione sarebbe in un rafforzamento del progetto europeo, tendenzialmente federale. L’ostacolo a questo progetto sarebbero il nazionalismo e il sovranismo, ma queste due definizioni mi sembrano ormai utilizzate come corpi contundenti, non più soggette ad alcuna verifica o discussione.
Il nazionalismo che si chiude completamente agli altri, come quello sostenuto da Action française, o che vuole imporsi alle altre nazioni è evidentemente da rifiutare, ma queste posizioni sono un deterioramento del concetto di nazione e, quindi, di nazionalismo. Un popolo, e perciò una nazione, sono tali perché hanno una loro identità che li distingue dagli altri. La convivenza pacifica e costruttiva tra popoli non avviene con la rinuncia alla propria identità, ma ponendola in dialogo con le altre che si incontrano. Infatti il dialogo presuppone due posizioni che si pongono a confronto, pronte a considerare e accettare, se del caso, la posizione dell’altro.
Condannare il nazionalismo in quanto tale è un’operazione difficilmente sostenibile e che produce contraddizioni. Per esempio, si dovrebbero condannare gli ucraini per il loro nazionalismo che li porta a voler essere diversi, con una propria identità, dai russi. L’Unione Europea attuale è composta da 27 Paesi e da ancor più nazionalità e lingue; si pensa davvero che un governo centrale di tecnocrati possa sostituire tutte queste identità, purtroppo spesso in conflitto tra di loro? Imponendo un’artefatta nazionalità europea? Una reale identità dei popoli europei non può che rifarsi alla sua storia e alla fondamentale opera del cristianesimo nella sua costruzione. L’attuale Unione Europea ha rifiutato di porre alle sue basi le radici cristiane dell’Europa; sul fronte opposto, si è dichiarata pronta a proclamare il diritto inalienabile della donna ad abortire.
Anche “sovranista” è diventato un epiteto ad excludendum. Uno Stato non esiste senza sovranità e a questa sovranità possono essere posti limiti in virtù di trattati liberamente sottoscritti, ma non può essere gravemente inficiata senza inficiare la stessa indipendenza dello Stato e dei suoi cittadini. L’Ue è costituita da Stati indipendenti e difendere la loro sovranità è compito di chi li governa, mentre l’Ue rimane una sovrastruttura giustificata da una serie di trattati, ma senza la sovranità caratteristica di uno Stato. Infatti, non ha né una politica estera, né una politica di difesa comuni, tanto per concretizzare, né sembrano concretamente realizzabili con una struttura verticistica, ma solo con una collaborazione tra Stati sovrani. L’accusa di sovranismo risulta perciò puramente partitica, cioè di parte.
Alla luce di questa ultima osservazione, mi sorge il dubbio che De Haro sia preoccupato dei risvolti che un’eventuale vittoria della coalizione di destra in Italia, da lui considerata “sovranista”, possa avere anche nel suo Paese, la Spagna. E che magari l’annessa “impronta nazionalista” possa mettere a repentaglio il nazionalismo castigliano con una ripresa di quello catalano.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.