Chi vorrebbe cancellare con una X il 2020, chi si augura che una volta vaccinati tutti contro il Covid si possa ritornare alla normalità, chi ancora scopre quanto di positivo in realtà gli è comunque accaduto anche nell’ultimo annus horribilis.

Il carteggio tra Giovanni, uno studente del Liceo scientifico della Fondazione Grossman, e Giacomo, operatore dell’Associazione Pro Terra Sancta, ospitato dalla scuola per un incontro sulla situazione attuale di Libano e Siria, ribalta completamente la prospettiva e indica una direzione che ci si augura possa orientare il tempo che stiamo vivendo.



Buongiorno Giacomo,
ho assistito qualche settimana fa al suo incontro riguardante il lavoro che state svolgendo in Medio oriente. Gli aspetti di quell’incontro che mi hanno colpito sono sicuramente molteplici, ma c’è una domanda che ritorna quotidianamente nella mia vita da ormai 5-6 mesi e credo che al momento lei sia la persona più adatta per potermi aiutare a continuare il mio viaggio verso una possibile risposta. Questa fantomatica domanda è quella che propone il grande scrittore Fyodor Dostoevskij al termine della sua celebre opera Le notti bianche quando il protagonista, dopo essere stato umiliato e abbandonato all’improvviso dall’amore della sua vita, risponderà all’ultima lettera di scuse di quest’ultima: “Sii benedetta per quell’attimo di beatitudine e di felicità che hai donato a un altro cuore! Dio mio! Un minuto intero di beatitudine! È forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?”.



La domanda è dunque questa. Lei che vede quasi quotidianamente vite commoventi, lacerate da follia e distruzione, vite disperate in balia di violenza, povertà, sfiducia e morte; lei che ha visto quell’uomo piangere di felicità per gli “amici” appena trovati dopo aver perso entrambe le gambe; lei pensa che la gioia incommensurabile e contemporaneamente effimera capitata nel mezzo di una vita apparentemente indegna di essere chiamata tale basti a rendere quell’uomo capace di dire: “Io ho vissuto e sono felice di averlo fatto”? Un attimo di felicità vale anni di sofferenza? O la vita è un freddo bilancio tra le esperienze positive e quelle negative che ci capitano e non vale la pena di sostenere questa faticosa avventura nel momento in cui la linea del bilancio precipita sotto lo zero?



L’incontro si apriva con una citazione del libro La strada di Cormac McCarthy. Non so se lei ha mai letto quel libro, io personalmente sì. Parla di un mondo in cui, tolti i due protagonisti e i misteriosissimi personaggi finali, tutto è male. All’inizio del libro veniamo a sapere che la moglie del protagonista si è tolta la vita davanti al bilancio di una vita che non aveva più alcuna possibilità di tornare positivo. L’uomo e il bambino, invece, continueranno a seguire la strada attraversando l’inferno e trovando solo minuscoli e sperduti angoli di paradiso. McCarthy, dall’alto del suo stile enigmatico, non dirà mai chi tra loro ha preso la decisione migliore.

Per tutte queste ragioni ci tenevo a sentire il suo parere: “un minuto di beatitudine è forse poco per colmare tutta la vita di un uomo?”.

Giovanni

Caro Giovanni,
ti ringrazio veramente tantissimo per questa email! Mi colpisce molto la citazione che riporti e la tua domanda, che sento mia nel profondo. Non voglio quindi assolutamente ridurre la potenza di quello che scrivi provando a rispondere. Tento solamente di provare a dare il mio contributo reagendo alla provocazione che la domanda ha generato in me.

Per quanto riguarda la citazione di Dostoevskij, la trovo veramente profonda: può un momento di vera felicità “bilanciare” una vita piena di fatiche e di disperazione?

Domanda che mi ha fatto venire in mente quando ho visto quel ragazzo sul letto di ospedale, così come quando ho visto tante famiglie di Aleppo, con bambini e anziani che non avevano acqua in casa da settimane – settimane! – e raccontavano: “quando finalmente ci hanno portato l’acqua, è stata una gioia immensa, una delle più grandi della nostra vita”. Pazzesco! È questo che mi ha folgorato: erano devastati, ma l’arrivo dell’acqua, questo gesto di carità verso di loro, gli ha trafitto il cuore di felicità.

Non saprei ora dire se questo momento di felicità, di beatitudine, è abbastanza per colmare tutte le sofferenze precedenti, ma vedendo queste persone quasi ribalterei la frase di Dostoevskij: può tutto il dolore, la sofferenza, può una vita misera, demente e terribile impedire che si possa vivere un momento pieno di felicità? Che un gesto generi una gioia così grande?

La risposta davanti agli occhi è: NO! Queste persone mi hanno mostrato che niente può impedire un momento così che ridà speranza a tutto. Questo fa impressione se ci pensi, perché a questo punto si collega alla seconda questione che ponevi: ha senso mettere su una bilancia gli aspetti positivi e negativi della vita? Per cui la vita pende verso il positivo o il negativo, e di conseguenza ci chiama ad un giudizio in un verso o in un altro?

Proprio il fatto di prima sembra dire il contrario: quel ragazzo senza gambe soffrirà ancora tantissimo nella vita, come tutti noi e forse anche di più, ma niente può impedire un godimento reale che illumina tutta la vita. E attenzione, non è che allora si vede tutto rose e fiori (sarebbe una cosa terribile!), ma ci si affeziona sempre di più alla vita tutta intera, per come viene.

Anche questi esempi ci fanno capire che la questione non è mai di bilanci, ma è sempre “un altro piano”. Come quando uno si innamora, non è mai perché gli aspetti positivi superano quelli negativi. Pensa se una persona si dichiarasse così a te: “Ho capito che i tuoi aspetti positivi superano i tuoi difetti, quindi mi piaci”. Sarebbe quantomeno poco entusiasmante. Invece uno si innamora di tutto, tutto quanto l’altro/a! Nell’amore non c’è mai un bilancio, è “un altro piano”, è una scintilla che scatta prima, totale. È tutto che attira, paradossalmente anche gli aspetti più spigolosi vengono visti dentro quello sguardo pieno di affetto.

(…) Un caro saluto e a presto! Grazie ancora.

Giacomo

L’augurio che vorrei fare a tutti gli studenti che hanno iniziato in condizioni ancora precarie la scuola, è di sorprendere, stimare e coltivare le domande che nascono nell’impatto con i contenuti dello studio e con la vita, così come la si vede e la si sente accadere.

A me e a tutti gli adulti cui è affidata la gioventù (in primis genitori e docenti, ma non solo…) auguro di prendere sul serio le domande profonde e spesso scomode dei ragazzi, lasciando che interroghino e mettano alla prova la nostra esperienza. Perché è in essa che possiamo trovare il coraggio di testimoniare ai giovani le ragioni della speranza.

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