Caro direttore,
ripenso ad alcune sere fa. Dolcetto o scherzetto? Questa “americanata” alternativa chi è più avanti negli anni magari l’aveva confinata nella filmografia di gioventù o nelle ragazzate che hanno sostituito il vecchio e buon carnevale di un tempo.

Però man mano si è sempre più diffusa. D’altronde, cosa vuoi che sia? Una moda, un semplice fatto di costume, per divertirsi, per passare una serata diversa, non c’è nulla di male e via dicendo.



La vecchia osteria della posta all’incrocio della frazione mi attende come oasi nella prima oscurità post ora legale dell’anno nel ritorno a casa. Faticosamente parcheggio fra file di auto come fosse la sagra del paese. Piccole zucche appese segnano il cammino come luci di atterraggio al bancone del bar, disegnando nella penombra i volti dei tanti avventori presenti. Volti truccati, volti da Halloween. Giovani e adulti, non ragazzini. Finti morti che bevono e si divertono. Gente del posto, gente di paese.



Mi faccio largo tra scheletri e zombi, inaspettato ospite di questo movie di serie C. L’iniziale stupore ben presto lascia il posto all’amara considerazione che anche in questo, che fu il locale dai molti quartini, il “nuovo” è arrivato.

Nell’attesa della consumazione lo sguardo si sofferma sullo schermo della tivù. Scorrono le immagini del Tg. Immagini della guerra. Senza audio. Scoppi di bombe, madri imploranti e doloranti, giovani soldati e ragazzi urlanti, crollo di palazzi e kibbutz insanguinati, un moderno film muto la cui paradossale, triste colonna sonora è il chiacchiericcio avvinazzato da festa al bar.



Il dolore e la morte finta di Halloween, morti non-morti da divertimento, e la guerra vera, quella che è sempre e solo sconfitta per la povera gente, urlo di dolore che si alza chiedendo ad un dio il perché, distruzione dei nostri piccoli bar della vita, violenza all’infante e alla donna, che mai potrà portare giustizia.

Mi giro, irato, cercando il colpevole di tale insensato paradosso, volendo addossare a qualcuno dei presenti la liquida vacuità del nostro moderno vivere “à la carte” della moda, ma… la tazzina del caffè come evento pacificante blocca sul nascere il gesto.

Risalgo in auto. Non c’è colpevole che tenga.

Poco o tanto, tutti siamo conniventi con questa vacuità del vivere, poco o tanto tutti siamo dei poveri cristi. Bisognosi di riscatto, di qualcuno che ci riscatti come ostaggi della nostra dimenticanza e distrazione, accogliendoci come siamo. Abbiamo bisogno di incontrare anche noi un padre Youssef Asaad nella Gaza delle nostre periferie. Non più zombi per finta, ma uomini e donne veri in pace.

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