Quarantacinque anni fa, esattamente dal 28 al 30 giugno 1979, si svolse, per la prima volta in Italia, a Castelporziano, nel Lazio, il primo Festival internazionale dei poeti, presenti molti autori del nostro Paese ed importanti poeti di altre parti del mondo, soprattutto statunitensi, a partire da Allen Ginsberg (1926-1997), leader involontario della cosiddetta Beat Generation, la corrente culturale americana diffusasi negli States tra gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, poi consacrata in Europa, la quale influenzò la letteratura e il costume occidentali, lasciando non poche tracce fino ai nostri giorni.
La Beat Generation, oltre a Ginsberg, ebbe tra i suoi principali protagonisti numerosi poeti, scrittori e saggisti americani, tra i quali non si possono non ricordare i fondatori: Neal Cassidy (1926-1968), Jack Kerouac (1922-1969) e William Seward Burroughs (1914-1997)… Il primo, nella sua breve e tormentata vita, pur pubblicando soltanto due brevi frammenti di prosa e qualche poesia, scritta a quattro e a sei mani con Kerouac e Ginsberg (nel 1950 e ’51), esercitò una notevole influenza intellettuale e stilistica sull’intera Beat Generation, attraverso conversazioni, corrispondenze e il romanzo autobiografico incompiuto The First Third (Vagabondo), come conferma la loro pubblicazione postuma. Kerouac ha scritto invece molti romanzi, oltre a racconti e poesie, il più famoso dei quali, On the road (Sulla strada), pubblicato nel 1957, è un vero e proprio manifesto della Beat Generation, insieme a Howl (Urlo), il primo poema di Ginsberg. Il romanzo racconta il lungo viaggio in auto attraverso gli Usa fatto da Jack, nel ruolo di narratore col nome di Sal Paradise, insieme a Dean Moriarty, il suo compagno di viaggio, che altri non è che Neal, il quale diventerà anche il personaggio di Cody Pomeray in molti altri romanzi di Kerouac. Della vastissima produzione di Burroughs ricordiamo soltanto Naked Lunch (Pasto nudo), pubblicato nel ’59; il romanzo, che lo rese una celebrità mondiale, completa il ciclo delle opere fondamentali della Beat Generation.
Tornando al Festival internazionale dei poeti, va detto che l’accoglienza ricevuta da Ginsberg e dagli altri autori a Castelporziano non fu granché. Il festival poetico si rivelò un mezzo fiasco. Almeno all’inizio. I primi due giorni dell’evento, il 28 e 29 giugno, furono infatti caratterizzati dalla scarsa capacità di ascolto dei poeti da parte del pubblico, composto in prevalenza da giovani, che poco o nulla sapevano di poesia, dunque da contestazioni, impotenza, panico, oltreché dalla disorganizzazione dei promotori. Fu Ginsberg, in un primo momento ammutolito da tale incapacità, ma anche dal trattamento subito da lui, dagli altri poeti e dai pochi appassionati di poesia accorsi ad ascoltare, che tentò di riportare la calma con la resistenza passiva (anche quella modalità fece la sua comparsa per la prima volta in Italia). Ci riuscì soltanto nella terza giornata – fu un mezzo miracolo, se così si può dire –, quando i poeti decisero di affrontare il pubblico, che, non si sa come, riuscì quasi a tranquillizzarsi e ad essere più attento alle letture poetiche: Ginsberg sembrava averlo ipnotizzato, il russo Evgenji Evtushenko (1932-2017) ammaliava, un altro poeta americano, Amiri Baraka (1934-2014), che in realtà si chiamava Everett LeRoi Jones prima di convertirsi all’islam, rappava e rapiva. E così anche altri: dal citato Burroughs a Gregory Corso (1930-2001), da Lawrence Ferlinghetti (1919-2021) agli italiani: chi più, chi meno…
Concluso il festival, alcuni poeti della Beat Generation ed altri artisti, accompagnati da Fernanda Pivano (1917-2009), anch’ella presente a Castelporziano, iniziarono a girare l’Italia per il resto dell’anno, in grandi e piccole città, riempiendo i teatri e le sale dei loro incontri. Pivano era la scrittrice, giornalista e soprattutto traduttrice di Ginsberg e di altri autori nordamericani, in primis Ernest Hemingway, che si era formata all’Einaudi, alla scuola di Cesare Pavese (1908-1950), il quale aveva introdotto per primo in Italia non pochi autori della letteratura made in Usa.
Che cos’è rimasta oggi di quell’esperienza, dell’opera di Ginsberg e della Beat Generation? Prima di tutto le letture poetiche pubbliche, che continuano tuttora, pur in forme e modalità diverse, in tutto il nostro Paese. A onor del vero, va detto che l’esperienza di proporre letture pubbliche di testi poetici avvenne in Romagna dal 1953, due anni prima del primo reading americano con Ginsberg protagonista, grazie a due giovani appassionati di poesia, il saggista ravennate Walter Della Monica (1927-2023) e l’attore milanese Antonio Toni Comello (1926-2007), che si ispirarono alla tradizione romagnola del trebbo, ovvero alle veglie che nelle lunghe notti invernali (documentate fin dal Cinquecento) si tenevano nelle stalle intiepidite dal calore delle bestie, dove si riunivano i contadini ed altri abitanti delle campagne al termine delle giornate di lavoro: si parlava del raccolto, si giocava a carte, si raccontavano favole e si recitavano, appunto, poesie.
Quei trebbi contribuirono a diffondere la cultura poetica a livello nazionale, grazie alla lettura di versi di autori italiani, dalle origini della nostra poesia ai contemporanei di allora, quindi da Dante in avanti (il quale, come noto, visse gli ultimi anni dell’esilio proprio a Ravenna, dove completò la Commedia e diede vita ad un cenacolo poetico), dunque Petrarca, Foscolo, Manzoni, Carducci, Pascoli, Saba, Cardarelli, Ungaretti, Montale, Quasimodo, Gatto, Caproni, Sereni, Pasolini ed altri, sia italiani, che stranieri. L’iniziativa riscosse un successo straordinario, al punto che fu portata in tutte le regioni italiane ed alcune volte anche all’estero, in particolare nei Paesi in cui era rilevante la presenza di nostri immigrati; terminò nel 1965.
Per provare ad identificare le tracce rimaste oggi della poesia di Ginsberg e della Beat Generation, è necessario partire dalla vita di Ginsberg, il quale, figlio di un poeta (suo padre Louis era professore di liceo), si appassionò alla poesia fin dalla adolescenza, affascinato dai versi di Walt Whitman (1819-1892) e dall’iniziazione ad essa, dovuta allo speciale rapporto con sua madre, come evidenzia il suo poema autobiografico Kaddish for Naomi Ginsberg (1894-1956), una sorta di preghiera che richiama le origini ebraiche della famiglia, il cui tema centrale è l’ingrandimento e la santificazione del nome di Dio, usato non soltanto nel servizio liturgico, ma spesso nei rituali di lutto, dai funerali ai memoriali, a cui Kaddish inequivocabilmente rimanda. Dopo il diploma, conseguito alla Eastside High School nel ’43, Ginsberg entrò alla Columbia University di New York con una borsa di studio (per continuare a pagarsela, nel ’45 si arruolò in marina mercantile), collaborando alla rivista letteraria Columbia (e a quella umoristica Jester), vincendo il Woodberry Poetry Prize, che gli consentì di diventare presidente della Philolexian Society, il gruppo letterario del campus. In quegli anni conobbe numerosi scrittori, tra cui i citati Kerouac, Burroughs e Cassidy. Di Cassidy lo affascinò la visione del mondo, che approfondì con le letture dei poeti maledetti francesi Arthur Rimbaud (1854-1891) e Guillaume Apollinaire (1880-1918), nonché del visionario inglese William Blake (1757-1827).
Conobbe, come ricordato, anche Gregory Corso, di cui diventò amico, il quale fu talmente colpito dalle sue poesie che lo presentò ai suoi amici del mondo letterario americano, aiutandolo altresì a trovare un editore. Certamente, non va dimenticato – sono parole sue, che mi disse l’1 dicembre ’79 dopo una lettura poetica pubblica a Ravenna – “l’incontro più importante della mia vita”, quello col poeta Peter Orlowsky (1933- 2010), che divenne suo compagno di vita dal ’54, quando lo incontrò a San Francisco dove si era recato per incontrare gli artisti della San Francisco Renaissance ed altri, i quali avrebbero poi fatto parte della Beat Generation: William Carlos Williams, Gary Snyder, Philip Whalen, Lew Welch, quindi John Kelly, Bob Kaufman, Allan Davis Winans, William Margolis, coi quali fondò la rivista poetica Beatitude.
Veniamo così al 1955, quando Allen pubblicò Howl, messo al bando dal puritano mondo politico e letterario americano nel ’56 per la crudezza del linguaggio e dei temi, che costrinse Ginsberg ad abbandonare San Francisco nel ’57 e a rifugiarsi a Tangeri, poi a Parigi, dove Corso sistemò lui e Orlowsky in uno squallido alloggio diventato noto come il Beat Hotel. Sempre nel ’55, l’uscita di Howl convinse il pittore inglese Wally Hedrick (1928-2003), in America in quel periodo (fu uno dei fondatori della nota Six Gallery di Londra), a chiedere a Ginsberg di organizzare una lettura pubblica di poesie. Dopo l’iniziale diniego, Allen accettò, perché si era reso conto che non doveva tenere per sé, o relegare nei libri, quanto appreso da Whitman, Cassidy e dagli altri poeti della Beat Generation, nonché dalle letture di Eliot, Pound ed altri, ovvero la ricchezza della poesia, la continuità storica tra i poeti – da quelli antichi a quelli contemporanei –, la memoria del suo passato di vita e letterario, dunque l’importanza del suono, del ritmo della lingua scritta e del coinvolgimento fisico del poeta tramite i versi lunghi.
La lunghezza del verso, per Ginsberg, ma non soltanto per lui, non indica soltanto l’atto fisico di tirare il respiro, ma anche l’unione dello stato fisico con quello emotivo durante la composizione: “Poiché avevo un respiro lungo cominciai a pensare che cosa sarebbe successo… poiché avevo la tendenza a usare forme vocali rantolanti, isteriche, ripetitive, cominciai a sperimentare ogni modo letterario possibile che si adattasse a quel respiro”. Si tratta di fattori presenti tutt’oggi nella poesia italiana ed europea.
Tornando brevemente alle letture pubbliche, non si può tacere di quella che Allen fece a Londra nel maggio 1965 alla Better Books, che i poeti di quegli anni, ma anche i giornali britannici, considerarono tra i momenti più significativi nella storia della poesia inglese. Nel giugno successivo seguì un’altra lettura pubblica, l’International Poetry Incarnation, alla Royal Albert Hall, a cui assistettero più di settemila persone, che ascoltarono Ginsberg ed altri poeti, quali i citati Corso, Ferlinghetti e Burroughs, nonché Adrian Mitchell, Alexander Trocchi, Harry Fainlight, Anselm Hollo, Christopher Logue, George Macbeth, Michael Horovitz, Simon Vinkenoog, Spike Hawkins e Tom McGrath. Fu quello il momento in cui nacque la Beat Generation, che diventò una specie di ponte tra il movimento beat degli anni 50 e gli hippy degli anni 60. Tra l’altro, proprio quell’anno, Ginsberg conobbe e diventò amico di un certo Bob Dylan…
Un passaggio vogliamo dedicare al citato incontro di poesia del ’79 a Ravenna, con Ginsberg ed altri artisti (Orlowsky, Corso, i fondatori, nel 1947, del Living Theatre di New York: l’attrice Judith Malina (1925-2015) e suo marito, il poeta e pittore Julian Beck (1924-1985), accompagnati da Fernanda Pivano). L’incontro è stato importante anche perché da esso emersero altre tracce ancor oggi presenti nella letteratura e nel costume italiani.
Prima di tutto il prima citato ritmo delle poesie di Ginsberg, così come il fatto che esse erano nate dall’osservazione della realtà, ma anche dalle sue esperienze familiari, culturali e religiose: dal modernismo al jazz, dall’ebraismo al cristianesimo, fino al buddhismo, come risulta dai suoi versi, pubblicati in Italia in Jukebox all’idrogeno e Mantra del re di maggio, che comprendono anche il più volte ricordato Howl. Quel poema fu ispirato e scritto principalmente durante le visioni avute da Allen, sotto controllo medico, perché indotte dal peyote, un piccolo cactus che cresce in America centrale, da cui si estrae un potente allucinogeno. Di quel poema e delle altre poesie restano attuali appunto il verso ritmato, la cadenza della lingua scritta, pressoché simile a quella parlata, in cui il poeta rivive le esperienze più crude: l’omosessualità, l’uso di droghe, il ricovero in ospedale psichiatrico, quello che chiamava “un salto di consapevolezza”; e l’imperialismo Usa, un tema che approfondì in The fall of America (La caduta dell’America) e lo portò a rifiutare la società occidentale, a convertirsi al buddhismo e a continuare la sua lotta, interiore, ma anche politica, attraverso la poesia.
In Psalm III (Salmo III), ad esempio, con cui terminiamo questo ricordo, Ginsberg scrive: “A Dio per illuminare tutti gli uomini. /../ Faccia cenno con gli occhi la misericordia della direzione dei fiori. / Dica direttamente il suo scopo il fiore diritto: cercare la luce. / Dica contortamente il suo scopo il fiore contorto: cercare la luce. / Dicano la luce il contorto e il diritto. /../ Mi nutro del tuo Nome come uno scarafaggio di una briciola: questo scarafaggio è santo”.
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