L’inizio dell’autunno porta con sé un cambiamento di clima, di incombenze, di abitudini che in molti genera malinconia. Anche i poeti, interpreti privilegiati dell’animo umano, descrivono con note di tristezza questa stagione in cui la natura sembra avviarsi alla morte. La voce di Ada Negri si scosta da questa lettura, cogliendo con sensibilità femminile il fondo del sentimento umano.



Vorrei, pioggia d’autunno, essere foglia
che s’imbeve di te sin nelle fibre
che l’uniscono al ramo, e il ramo al tronco,
e il tronco al suolo; e tu dentro le vene
passi, e ti spandi, e si gran sete plachi.
So che annunci l’inverno: che fra breve
quella foglia cadrà, fatta colore
della ruggine, e al fango andrà commista,
ma le radici nutrirà del tronco
per rispuntar dai rami a primavera.
Vorrei, pioggia d’autunno, esser foglia,
abbandonarmi al tuo scrosciare, certa
che non morrò, che non morrò, che solo
muterò volto sin che avrà la terra
le sue stagioni, e un albero avrà fronde. 



L’osservazione della natura è quella di sempre, dalla pioggia al cadere delle foglie. Ciò che muta è lo sguardo, fissato non sulla morte ma sulla speranza della rinascita. Domina in esso l’attaccamento a ciò che permane, la certezza della vittoria della vita al di là delle apparenze, sia nei ritmi immutabili del creato, sia nel cuore volubile dell’uomo.

In tempi in cui si parla in modo troppo preoccupato di ecologia è bello che una voce femminile richiami alla positività inscritta in tutto ciò che vive. Questa voce non descrive solo l’autunno, ma già guarda alla primavera. Così chi si affida al nucleo profondo del suo essere, anche nei giorni di pioggia battente.