Tutto ebbe inizio su una terrazza di Basilea, di fronte al Reno imponente che attraversa l’antica città, un giorno di autunno del 1940. Lo spunto iniziale della conversazione, resa possibile da un comune amico, era stata l’opera dei poeti cattolici Paul Claudel e Charles Péguy, di cui il cappellano degli studenti Hans Urs von Balthasar, allora gesuita poco più che trentenne, era un ammiratore entusiasta. Di fronte a lui stava Adrienne von Speyr. Di soli tre anni più anziana, sposata nel 1936 con Werner Kaegi, studioso di storia destinato a brillante carriera, Adrienne veniva da una famiglia di tradizione protestante e, dopo una giovinezza segnata da non pochi problemi di salute, aveva portato a termine gli studi di medicina, appassionandosi a una professione che a quei tempi restava un monopolio decisamente maschile.
Il colloquio tra i due si rivelò subito di una serietà dirompente. Adrienne dovette intuire di trovarsi davanti alla sola persona che poteva essere in grado di comprendere il travaglio che coltivava nel cuore fin da bambina. Confidò al colto sacerdote il suo bisogno di nuove certezze a cui affidarsi, che forse solo la fede cattolica le avrebbe dischiuso. E von Balthasar non si sottrasse al rischio di deludere l’interlocutrice: sentiva di dover andare senza indugio al centro della questione. Parlò ad Adrienne dell’essenza della preghiera. Prese a spiegarle che invocare nel Padre nostro “Sia fatta la tua volontà” significa semplicemente dichiarare la propria umile disponibilità a lasciarsi abbracciare dall’opera che Dio intende portare avanti servendosi di noi uomini e rimanere “sempre impegnati in essa”, senza presumere di essere noi a realizzare una nostra opera autonoma.
Adrienne, in un certo senso, non aspettava altro. Lo spiega a perfezione lo stesso von Balthasar ricordando i momenti di questo primo incontro nello stupendo profilo biografico che apre la raccolta di testi meditativi di Adrienne pubblicata in italiano con il titolo di Mistica oggettiva (Jaca Book, Milano 1975), profilo successivamente riproposto all’interno del volume miscellaneo del teologo svizzero sul tema della “preghiera contemplativa” (Primo sguardo su Adrienne von Speyr, in Nella preghiera di Dio, Jaca Book, Milano 1997, p. 273-336). È una testimonianza in prima persona, da accogliere con serena fiducia, anche se porta immediatamente a sporgersi su versanti che non sono certo quelli di una esperienza di dominio comune.
Von Balthasar annota che Adrienne si trovò all’istante “liberata da tutti gli ostacoli”. Iniziò un rapporto di discepolanza tra i due che divenne presto una compagnia di eccezionale interscambio reciproco, in cui il maestro gesuita indicava la traccia di una dottrina che dispiegava i contenuti tradizionali della fede cristiana, ma l’allieva rivificava l’insegnamento ricevuto attingendo ai gradi più alti dell’identificazione con il mistero del soprannaturale, facendosi a sua volta guida e fonte di richiamo carismatico per il teologo che la seguiva. L’esercizio della preghiera, scrive von Balthasar pensando al germe iniziale di un sodalizio destinato a prolungarsi per tutta la vita dei due, “cominciò a travolgere [Adrienne] come un fiume a lungo sbarrato”. Era come se fosse stato “premuto inavvertitamente un interruttore che di colpo accende nella sala tutte le luci”. Nella catechesi che le si offriva, lei “capiva subito tutto, come se avesse aspettato ‒ e quanto a lungo ‒ di sentire proprio quel che si diceva per farlo proprio”. Fu battezzata nella festa di Tutti i santi, e poco più tardi ricevette la confermazione.
Iniziava una nuova vita per lei. Non poteva sottrarsi al compito di condividere i grandi doni che le esperienze attraversate facevano ricadere su di lei. Von Balthasar non ha nessuna remora a precisare che “subito dopo la conversione inizia a riversarsi su Adrienne una vera cateratta di grazie mistiche, in un uragano apparentemente senza regola, che si muove vorticosamente e contemporaneamente in tutte le direzioni”.
In primo luogo erano le grazie di una preghiera ricondotta alle sue più profonde sorgenti, in uno stare a tu per tu con il Mistero che oltrepassava ogni mediazione di parole e di riflessioni concettuali per approdare a un “altrove” da cui scaturivano a cascata “nuove conoscenze, nuovo amore, nuove decisioni”. Poi, strettamente congiunte, vi erano le “grazie di visione”, con una serie interminabile di incontri al limite dell’incredibile, che la mettevano a stretto contatto con la figura di Maria, con innumerevoli santi del passato e di epoche recenti, come il fondatore dei gesuiti sant’Ignazio o la piccola Teresa di Lisieux, facendola entrare “nel mondo del cielo”.
Si accesero di conseguenza persino i “carismi più esterni”, straordinariamente sollevati fino al livello del miracoloso: guarigioni inspiegabili dei malati, fisica immedesimazione con le sofferenze patite da Cristo nel sacrificio spinto fino alla morte di croce e alla discesa negli inferi del sabato santo; già dal 1942 la stigmatizzazione. E al di là di tutto questo, una capacità senza uguali di introspezione, a partire dalla lettura dei testi biblici, nei segreti dell’essere divino e dei suoi rapporti con la realtà umana, che poi si riversava nei copiosi dettati a ruota libera meticolosamente registrati dal teologo-padre spirituale, fonte sicura per la sua successiva elaborazione di un pensiero ancorato a una solida radice.
Il centro della forma di esperienza cristiana in cui Adrienne ha aiutato i suoi seguaci a inoltrarsi, a cominciare da quelli riuniti intorno a lei e a von Balthasar nella Comunità San Giovanni che insieme fondarono, costringendo l’illustre teologo ad abbandonare la Compagnia di Gesù, è da lui stesso ricondotto alla dimensione dell’essere totalmente aperti, “a disposizione” (se ne riparla anche in chiusura del testo di P. Sottopietra, Il nostro riposo è Cristo, Fraternità San Carlo, Roma 2023). La disponibilità all’offerta di sé per rispondere alla chiamata di un Dio amoroso, il contraccambio del sentirsi solo semplici “servi” come effetto dell’essere stati attirati dalla forza luminosa di una carità totalmente gratuita erano da assumere come la cifra di un “ritirarsi” dell’io che vuole fare spazio, in senso contrario, al primato del Tutto, e in questo Tutto trova la fonte della sua compiuta realizzazione.
L’umile consenso di Maria alla straordinaria vocazione che l’angelo le rivela è il paradigma di questo modo di guardare all’impegno del cristiano nel mondo ricondotto alla sua matrice più autentica. Questo orientamento al semplice “sì” di una consegna che può esigere di arrivare a essere anche totale trova un altro suo modello fondamentale nella sequela dell’apostolo Giovanni, trascinata dall’identificazione con il cuore di Cristo, prima ancora che dall’obbedienza al suo volere di maestro e profeta di una nuova alleanza. La vocazione di Giovanni è mariana nel suo stile di fondo, diversa da quella di Pietro. Ma rimane fermo il punto che lo spirito dell’intima adesione della persona in una piena comunione di destino non è il cemento di un legame che chiude, bensì la scaturigine di una pace e di una letizia fatte strutturalmente per contagiare, irradiandosi nello spazio della realtà in cui si insinua il manifestarsi incontenibile della novità dell’avvenimento cristiano.
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