La loro prima avventura risale agli anni Cinquanta, quando Alfredo e Angelo Castiglioni, non ancora ventenni, attraversano in Vespa la Francia e la Spagna, per poi passare lo stretto e arrivare fino alla Mauritania: avevano detto al padre che sarebbero partiti per una vacanza in Costa Azzurra, li attendevano invece settimane dense di situazioni alquanto estreme; tra queste, la caduta dalla Vespa di Angelo, con conseguente rottura di un braccio poi sommariamente ingessato da un ufficiale della Legione straniera, non doveva essere che un episodio tra i tanti. Quella spedizione in Vespa segna l’inizio di una vita intera (o meglio due) dedicata all’Africa. I gemelli Alfredo e Angelo Castiglioni, classe 1937, da allora non hanno mai smesso di organizzare un viaggio in Africa dopo l’altro, perché il gesto folle degli anni giovanili era destinato a dare forma e significato a tutta la loro esistenza.
Tra gli anni Sessanta e i Settanta, quando è ancora possibile entrare in contatto con etnie africane che hanno avuto pochi incontri con la civiltà occidentale, i Castiglioni, nelle loro spedizioni etnologiche, documentano usi e costumi, rituali di nascita e morte, riti di iniziazione giunti ancora intatti fino a quel momento. Fermandosi per settimane in una particolare località, ottengono dagli autoctoni il permesso di filmare e fotografare momenti particolari della loro vita sociale, con speciale attenzione per i loro riti, ascoltando da saggi, anziani, curatori e sorcier (quelli che chiameremmo “stregoni”) l’esposizione delle pratiche rituali, iniziatiche, magiche e terapeutiche e i loro significati. Si collocano, a loro modo e con tutte le differenze del caso, sulla scia di Marcel Griaule e dei suoi incontri con Ogotemmêli, il saggio dei Dogon, custode della cultura tradizionale del suo popolo e narratore di miti e cosmogonie.
In questa attività complessa e appassionante, i Castiglioni trovano la collaborazione di un illustre etnologo, Guglielmo Guariglia (1909-1993), professore presso l’Università Cattolica di Milano, e della sua allieva prof. Giovanna Salvioni; collaborazione il cui frutto più recente è stata una densa raccolta di saggi vertenti soprattutto sul rapporto col sacro e il senso estetico delle genti africane, pubblicata da EduCatt nel 2016.
Con il principio degli anni Ottanta, alle spedizioni di carattere etnografico si aggiungono quelle archeologiche: in questo ambito Alfredo e Angelo Castiglioni ottengono notevoli successi e riconoscimenti a livello internazionale. In particolare, la scoperta della “città perduta”, il centro minerario di Berenice Pancrisia, nel deserto nubiano (attuale Sudan), la città che riforniva di oro i faraoni, ha una vasta risonanza ed è annoverata tra le grandi scoperte dell’archeologia. Negli anni successivi proseguono gli studi sul deserto nubiano e la penetrazione egiziana in Nubia, tra l’altro con importanti ritrovamenti di iscrizioni geroglifiche.
Negli ultimi anni dedicano tutte le loro energie, oltre che al Museo Castiglioni di Varese, alle importanti campagne di scavo sul sito di Adulis – in Eritrea, sul litorale a sud di Massaua –, città emporio sul Mar Rosso che svolse un ruolo molto significativo in età tardoantica nei contatti tra il regno di Axum e il bacino del Mediterraneo. La missione archeologica internazionale ha preso avvio nel 2011 con il coordinamento di Alfredo e Angelo Castiglioni e sotto la direzione scientifica della prof. Serena Massa e ha visto la partecipazione, tra le altre istituzioni, dell’Università Cattolica di Milano.
All’inizio del 2016, ad Asmara, ho potuto trascorrere alcuni giorni a stretto contatto con Alfredo e Angelo, rimanendo conquistato dalla straordinaria passione di questi due uomini non più giovani, che pure non avevano perso nulla del loro entusiasmo: due cuori avventurosi, che avevano alle spalle una vita da esploratori d’altri tempi e parevano venuti fuori dalle pagine di un romanzo. Durante le serate all’Albergo Italia le lancette dell’orologio si fermavano mentre i gemelli raccontavano le loro storie africane, tra riti tribali, costumi funerari, spedizioni attraverso il deserto, animali feroci, per non dire dei racconti inquietanti che avevano per protagonisti i sorcier, storie che mettevano a dura prova la razionalità dell’uomo europeo. “Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio”… Ho poi potuto ritrovare molte di queste storie nel loro bel libro Quarantanove racconti d’Africa, edito nel 2011. A conquistare l’interlocutore erano certo le loro esperienze assolutamente fuori dal comune, ma insieme anche la passione con cui le narravano (concludendo uno le frasi dell’altro!) e la grande ricchezza umana che lasciavano trasparire.
Alfredo conclude la sua vita di lì a poco, nel febbraio del 2016, mentre Angelo gli è sopravvissuto fino a pochi giorni fa, morendo il 17 febbraio di quest’anno. Così li ricorda l’archeologa Serena Massa, che per dieci anni ha lavorato accanto a loro: “Anche se l’emozione per la scomparsa di Angelo è ancora troppo grande, posso dire che lui e Alfredo ci lasciano la grande eredità dei loro tanti anni dedicati all’Africa e, in particolare, il testimone della missione archeologica sul Mar Rosso, ad Adulis, una tra le loro imprese più belle e ricche di significato. Ora tocca a noi proseguire lungo il sentiero che hanno tracciato”.
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