Con l’approssimarsi delle elezioni del prossimo novembre la situazione socio-politica degli Stati Uniti d’America è sempre più all’ordine del giorno. Tutti sono d’accordo sull’estrema polarizzazione che contraddistingue oggi lo scenario americano, la quale sembra mettere in discussione la tenuta stessa degli Stati Uniti come nazione, ovvero quella dimensione di tacita solidarietà che unisce tutti i cittadini al di là delle opinioni politiche.



Ma come si è arrivati a questo punto? Il recente corposo volume di James Davison Hunter (Democracy and Solidarity: On the Cultural Roots of America’s Political Crisis, Yale University Press, 2024) cerca di offrire una risposta rifacendosi alla storia degli Stati Uniti a partire dalla loro fondazione fino ai giorni nostri. L’autore sostiene che alla base degli USA c’è una radice culturale unitaria rappresentata da quello che egli chiama Illuminismo ibrido (hybrid  Enlightenment). Esso ha una dimensione religioso-confessionale nel puritanesimo delle origini rappresentato da un John Adams e una più laica nell’illuminismo deista di un Thomas Jefferson.



Tale radice era fondante e motivante la cultura degli Stati Uniti. L’autore ripercorre le vicende della storia nordamericana soffermandosi su grandi contraddizioni poi superate, come la schiavitù e la guerra civile, sul movimento evangelico, su figure religiose come Reinhold Niebuhr e Paul Tillich e “laiche” come John Dewey e Richard Rorty. Negli anni a partire dalla seconda metà del Novecento questa miscela laico-religiosa, che è alla base della speranza nell’America come terra di Dio e della libertà (God bless America) si sarebbe gradualmente disintegrata. Tra gli aderenti a morali rivali e tra gli aderenti a una particolare morale e a nessuna non esiste più alcuna corte d’appello, alcuno standard impersonale che sia neutrale.



Come osserva nelle sue prime opere Alasdair MacIntyre, il momento individualistico avrebbe avuto la meglio sulla dimensione comunitaria e associativa di base, entrambi presenti nell’America vista da Tocqueville. Alla fiducia nella possibilità di fondare i diritti su solide basi si sarebbe sostituita la retorica dei diritti. L’emotivismo e il nichilismo avrebbero vinto se non sul piano filosofico, su quello della cultura popolare di destra e di sinistra: “l’assenza di coesione morale nella cultura pubblica americana è, quindi, in larga misura dovuta all’assenza di un telos o fine condiviso, in nome di cui le istituzioni sociali e la maggioranza delle persone sono impegnate e per cui lavorano”.

In questa situazione gruppi identitari, unificati sulla base della cultura e del gender, svolgono il ruolo di reti compensatorie che emergono in risposta alla disumanizzazione endemica del mondo tardo moderno: “Nel mondo fluido e frammentato in cui viviamo, ogni gruppo identitario si definisce contro qualche altro gruppo”. L’effetto di ciò è la distruzione della vita comune: “Nel suo insieme, in America il discorso pubblico sulle questioni più importanti e spesso più banali del giorno non è affatto discorso […] come scambio razionale di posizioni concorrenti è difficile e forse impossibile nella nostra cultura pubblica. Sicuramente se non è possibile all’interno dei college e delle università, come sembra essere, non è probabile da nessun’altra parte, men che meno tra attivisti di movimenti, funzionari di partito e politici. Quello che abbiamo di fronte, piuttosto, è un simulacro di dibattito morale pubblico che nasconde una volontà di potenza grezza e brutalizzante”.  E questo anche perché “le negazioni al cuore del ressentiment sono diventate strategie deliberate e metodiche di una classe potente e professionale di consulenti politici e mediatici che hanno perfezionato l’uso delle nuove tecnologie di comunicazione all’interno del discorso pubblico”. Inoltre “gli interessi finanziari nel provocare e amplificare l’indignazione, la paura e il ressentiment che ne derivano sono sostanziali. È un carburante grazie a cui funzionano i settori dominanti della cultura politica americana”.

La coercizione non può essere la soluzione: “Lo sgretolamento della nostra cultura politica, la frammentazione e polarizzazione politica che ne sono seguite, e la cultura del ressentiment che ha riempito il vuoto sono tutti troppo profondi e troppo ben radicati per essere affrontati da qualsiasi cosa diversa dalla coercizione. E la coercizione non è un’opzione democratica”. Ogni sforzo per imporre una solidarietà artificiale riguardo a questa o quella questione attraverso gli strumenti dello Stato su una cittadinanza inquieta infiammerà più che lenire.

Tuttavia, le innumerevoli iniziative che cercano di superare la polarizzazione partigiana nelle comunità locali si scontrano con forze istituzionali radicate e potenti nelle economie culturali, fra loro interconnesse, della tecnologia, dei social media, del sistema partitico e simili. Si vuole credere che se ci fossero solo più persone disposte a fare questo lavoro e se tutti lavorassero solo più duramente, il rinnovamento democratico seguirebbe. Eppure queste forze istituzionali più estese che si muovono nei settori nazionali e globali tendono a “rendere tutti questi sforzi della base incapaci di cambiare il quadro in direzioni democratiche”.

Davison Hunter conclude il suo volume affermando che “ciò di cui abbiamo bisogno è un cambiamento di paradigma all’interno della democrazia liberale che sia radicato in una visione etica della riforma della vita pubblica, in una leadership coraggiosa e visionaria capace di attuarla nelle pratiche all’interno delle principali istituzioni, in una cittadinanza ben formata che la sostenga e vi partecipi, in un ecosistema civico sano all’interno del quale gli elementi non politici della politica si svilupperebbero e si rafforzerebbero,  attingendo agli ideali di un umanesimo rinnovato che affermerebbe l’umanità di tutti gli esseri umani nella loro particolarità e ripudierebbe ogni violenza politica nei loro riguardi […] riconoscerebbe cioè che la guerra culturale più seria che ora affrontiamo non è contro ‘l’altro lato’, ma contro il nichilismo che si insinua nei modelli simbolici, istituzionali e pratici del mondo moderno tardivo, non da ultimo nella sua politica”.

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