Ci voleva un’insegnante, e per di più con esperienza sia di licei che di istituti professionali, per capire a fondo i ragazzi, come sa dimostrare da tempo Sara Allegrini nei suoi romanzi di successo, apprezzati dai giovani e dagli adulti che vogliono comprenderli e aiutarli. Il più famoso è forse La rete, che ha spinto un suo lettore, Matteo, a telefonare alla scrittrice dall’America per raccontarle il percorso di caduta nell’abisso e di resurrezione di suo figlio. Proprio dalla sua confessione è nata l’ultima opera dell’Allegrini, Abisso (Itaca, 2023), che conquista totalmente chi si accosta a pagine così realistiche e insieme profondamente umane e struggenti.



Tanto più che sugli adolescenti di oggi, le loro sofferenze e anche le loro malefatte, nessuno oggi sembra capace di dire parole convincenti, né possono soddisfare le spesso presuntuose e sovrabbondanti analisi di psicologi e sociologi. Gli adulti poi, in primis i genitori, con i figli di questa società vuota ma pretenziosa, non sanno letteralmente più cosa fare. Sono questi i ragazzi perduti descritti dall’autrice, con un rispetto e un’autenticità da brivido. Mantenendo la certezza che ciò di cui hanno urgentemente bisogno è innanzitutto il Senso, il significato della vita, spesso mascherato da spavalderia e aggressività incontrollata, o cancellato da ferite profonde subite e mai affrontate.



La proposta di resurrezione per i ragazzi che nessuno vuole più è la stessa della Comunità del Cenacolo di madre Elvira, un percorso duro, impegnativo e anche severo, che però può permettere di ritrovare e ricostruire sé stessi: un grande amore e una grande croce, che l’Allegrini ha scoperto proprio nelle aule dei professionali, dove ha vissuto un’esperienza appassionante. Nei protagonisti del romanzo emergono prepotenti le fragilità e i drammi vissuti, insieme con un inestinguibile desiderio di felicità. Ma, come l’autrice afferma con determinazione, “l’ultima parola nei miei libri ce l’ha la speranza”, perché crede senza tentennamenti a un varco verso la salvezza. A costo di dover usare l’inganno, come ha dovuto fare Matteo, il padre che ha telefonato dall’America, che ha praticamente abbandonato il figlio alle porte di una Comunità del Cenacolo, perché incapace di uscire dalla dipendenza da droghe in cui era caduto all’epoca del Covid.



Dopo un breve e costoso ricovero, ora era di nuovo schiavo delle sostanze, e perciò il padre gli aveva presentato quel luogo come ultima possibilità: una comunità di ragazzi (come in effetti era). Lo accompagnò lì senza che portasse nulla con sé, nessuna valigia, solo per vedere. Ma poi se n’era andato senza aspettarlo. Uno strappo incredibile che il genitore aveva riconosciuto come l’unico modo per salvare il figlio: temeva ogni giorno che gli telefonasse la polizia per comunicargli che lo avevano trovato morto.

Le Comunità del Cenacolo sono organizzate in modo più che spartano: non c’è la tv, non c’è il telefono e a prendersi cura di chi arriva sono ragazzi che hanno vissuto la stessa esperienza di traviamento e abbandono ma, una volta guariti, prendono in carico i loro coetanei “perduti”. Una cura credibile perché sperimentata in prima persona. Sono passati anche loro dalle stesse strettoie, dalle crisi di astinenza, dalle ribellioni, o dalle paure. Il ritmo della comunità è semplice: tutto il giorno si lavora, e anche duramente, perché ovviamente “chi non lavora non mangia”.

La Comunità vive di assoluta Provvidenza e quando non c’è più cibo semplicemente i ragazzi pregano perché arrivi. E il cibo prodigiosamente arriva sempre. Quella narrata è dunque “una storia assolutamente vera”, come dichiara con forza la scrittrice, anche se il protagonista è una ragazza, Claudia, che ha tentato anche la fuga, come ha fatto del resto anche il figlio di Matteo che oggi – guarito – aiuta altri giovani a ritrovare la strada della vera libertà. Il testo è suddiviso in due parti: “dentro” e “fuori”. Uno spartiacque importante, legato al titolo, Abisso, dentro cui precipita volontariamente Claudia, che però a un certo punto decide di accettare il sostegno che le viene offerto, perché nessuno si salva se non vuol salvarsi. Prima si è concentrati su se stessi, poi si impara a guardare gli altri e anche ad aiutarli.

La Allegrini ha conosciuto la storia di madre Elvira, che ha in qualche modo rappresentato nel personaggio di America del libro; le è rimasto impresso il modo in cui accoglieva i ragazzi che si presentavano nelle sue comunità. Diceva: “Ti stavo aspettando, finalmente sei arrivato!”. Dunque c’è un abisso più profondo di quello del male che porta altro male, ed è “l’abisso della misericordia”, che è più grande, inghiotte l’altro abisso e trasforma il male in bene. Sono storie estreme, che però indicano il dramma di ciascuno di noi, la ricerca del senso della vita.

Ma qual è il metodo per trovarlo? Ce lo dice San Benedetto: “ora et labora”. Per lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato. Non ci basta mai niente, poiché occorre cercare il significato autentico di ciò che viviamo, seguire la vocazione che ciascuno ha, e quindi anche darsi da fare, perché la responsabilità è personale. Siamo tutti terribilmente schiavi del lavoro, della dipendenza dall’opinione altrui, dei cellulari, ma il nostro mondo non può darci soddisfazione, dobbiamo cercare altro.

Abisso non è un libro solo per ragazzi, ma pure per adulti, che a volte sono più vuoti, perché indica una strada di salvezza per tutti. Arrivando alle ultime pagine le lacrime scorrono copiosamente ma senza vergogna, perché vedere che il male non è l’ultima parola e che fatica, dolore, pazienza portano a un’esperienza di vita piena e libera, non può che aprirci il cuore al desiderio di rispondere ciascuno alla nostra chiamata.

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