Le linee rosse dell’intelligenza e dell’umanità sono state ampiamente superate. Non si rispetta più il diritto umanitario che dovrebbe proteggere civili e innocenti. Acquisizioni importantissime, pensate e approvate, per renderci meno cattivi, sembrano venute meno. E tutto ciò accade mentre i programmi di approfondimento e le piazze sembrano contrapposte fazioni di ultras calcistici. L’ideologizzazione di chi parla, oggi, è l’altra faccia dell’infantilizzazione delle masse televisive. Chi parla, infatti, non sa cos’è il dolore di una madre, il grido di un ferito o la morte di un malato senza più un ospedale. Nessuno, poi, prende la parola sulla questione vera e centrale: la sofferenza dell’innocente. Perché un bambino deve essere ostaggio di un vigliacco o vittima di una bomba?



Forse, in questo momento, in cui dal vaso di Pandora sembrano usciti tutti i mali, è il caso di andare a lezione da Amos Oz e leggere il suo celebre testo Cari fanatici (Feltrinelli, 2017). Lo scrittore israeliano (1939-2018), nelle sue pagine, sottolinea con forza un imperativo categorico valido per tutti. Non causare sofferenza è l’espressione più alta dell’umano. Nessuno deve aprire e colpire il punto debole che ci accomuna tutti: il dolore. Non si tratta, però, di far venire meno la giustizia, ma di pensarla fino in fondo. Purtroppo, però, chi è fanatico non guarda l’altro da sé come un volto unico. È chiuso in un blocco a cui ritiene di appartenere, ma da cui è invece inglobato. Confermato dal conformismo del suo blocco, il fanatico depone il cuore per nasconderlo in un bunker.



Si può, tuttavia, cercare di fare uscire l’umano dal suo chiuso rifugio. Oz ci prova, raccontando un aneddoto riguardante lo scrittore israeliano Sami Michel. In un lungo viaggio un autista disse a Sami Michel che bisognava uccidere tutti gli arabi. Lo scrittore, in modo serrato e stringente, chiese chi avrebbe dovuto farlo: milizia, esercito, pompieri o civili? L’autista rispose che tutti gli ebrei avrebbero dovuto concorrere al disegno criminale. Al suo incalzante domandare, l’autista disse che ognuno avrebbe dovuto uccidere gli arabi a lui prossimi. Lo scrittore, nella sua riduzione all’assurdo della falsa tesi, domandò allora che cosa si sarebbe dovuto fare se qualcuno si fosse dimenticato di uccidere un neonato. Messo alle strette dalla domanda radicale, l’autista disse che lo scrittore era crudele, proprio perché aveva posto quella domanda.



La domanda, dunque, è un fatto cogente, che smaschera con il suo dubbio radicale l’inganno in cui vive il fanatico. La menzogna che occupa il pensiero del fanatico è però più antica di ogni religione. Ha “un fondamento intrinseco nella natura dell’uomo, un gene cattivo: chi tira bombe, chi uccide immigrati in Europa, chi assassina donne e bambini ebrei in Israele, chi brucia una casa con dentro un’intera famiglia palestinese nei Territori occupati da Israele, chi profana sinagoghe, chiese, moschee e cimiteri, tutti costoro sono diversi da Al Qaeda e dall’Isis per quello che fanno e per la natura del loro operato, ma non per la natura dei loro misfatti. Oggi si parla di “crimini d’odio” ma forse sarebbe meglio dire “crimini di fanatismo”: ne avvengono quasi quotidianamente anche contro i musulmani”.

Insomma, i fanatici non hanno in comune una religione, ma un modo falsificato di approcciarsi alla realtà. Preferiscono “sentire” anziché pensare. Sono affascinati dalla morte. Il pensiero della morte propria e dell’altro travolge la loro immaginazione. Bisogna liberare il mondo dall’altro da sé, dal problema, anzi bisogna liberarsi dal mondo in cui c’è l’altro. La violenza, dunque, purifica e cambia tutto. Per questo si è anche disponibili al sacrificio. “Chi è disposto con entusiasmo a sacrificare sé stesso non fa nessuna fatica a sacrificare gli altri”. Non causare sofferenza, dunque, è l’antidoto al fanatismo. Le sofferte parole di Oz ci interpellano, proprio oggi, nel profondo del nostro essere. Sono una provocazione nel buio del crimine antiumano e nel deserto delle macerie causate dai bombardamenti. E chissà se l’incompresa e drammatica sofferenza di un bambino innocente riaprirà i nostri cuori e quelli di chi vuole la morte.

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