Nell’anno in cui sono state rinviare le olimpiadi di Tokyo a causa della pandemia da coronavirus, ricorre il 60esimo di quelle di Roma. Era il 1960 e la capitale ospitò la XVII olimpiade moderna, l’unica assegnata sinora all’Italia. Due personaggi di nome Giulio furono gli artefici di questo evento che fece tornare la città eterna nel novero delle grandi metropoli, Andreotti e Onesti. Il primo all’epoca era ministro della Difesa, nonché presidente del Comitato organizzatore, il secondo presidente del Coni.



L’amicizia tra i due veniva da lontano. Nel 1944 il governo Bonomi nomina un avvocato ed ex partigiano, Giulio Onesti, di tendenze socialiste, come commissario liquidatore del Coni, istituto troppo compromesso con il fascismo. Con l’era De Gasperi il liquidatore dell’ente fascista diventerà al contrario uno dei più influenti presidenti, anche grazie all’amicizia con l’altro giovane emergente, Giulio Andreotti,  dalla fine di maggio del 1947 sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri.



La conoscenza  tra i due venne favorita dalla comune amicizia di Luigi Gedda e di monsignor Fiorenzo Angelini, che durante l’occupazione nazista aveva nascosto Onesti e legato da sempre con il giovane politico democristiano. Il 1946 è la data in cui Onesti viene nominato presidente del Coni ed è passato alla storia un incontro dell’agosto 1947 tra il Consiglio nazionale del Coni e il sottosegretario Andreotti, il quale dopo aver ascoltato le preoccupazioni dei dirigenti Coni in merito alla scarsa autonomia, soprattutto finanziaria, dell’ente si impegnò a trovare soluzioni. 

L’anno seguente viene affidata al Coni la gestione della Sisal, il concorso sui pronostici calcistici, che garantiva un consistente introito e soprattutto i soldi per rilanciare lo Sport italiano. Nel 1965 i proventi del concorso, nel frattempo divenuto Totocalcio, saranno addirittura divisi a metà tra il Coni lo Stato italiano.



Per la democrazia italiana lo Sport era un grande veicolo di riscossa democratica, di partecipazione popolare e non uno strumento della propaganda, come durante il fascismo, per cui venne garantita l’autonomia delle sue organizzazioni. Propaganda no, ma consenso sì. Siamo nel pieno della guerra fredda e lo scontro tra i due mondi rappresentati dalla Dc e dal Pci/Psiup era nel pieno del suo svolgimento. È nota la vicinanza di De Gasperi e di Andreotti al Centro sportivo italiano, organizzazione di ispirazione cattolica guidata da Luigi Gedda, fondatore dei famosi comitati civici, che aveva lo scopo di diffondere la cultura sportiva in tutti gli strati sociali, ma che era anche strumento per contrapporsi all’Uisp, l’organizzazione sportiva popolare di matrice social comunista. Andreotti partecipò nel 1965 alle celebrazioni del ventennale di rifondazione del Csi Libertas, assieme ad Aldo Moro e quell’evento suggellò la grande amicizia della Dc con lo sport di ispirazione cattolica. 

Sul fronte della diplomazia sportiva, il primo risultato di rilievo arrivò sempre in quei mesi, con l’invito della delegazione italiana alla partecipazione ai giochi invernali di St. Moritz del 1948, a differenza di Germania e Giappone. Il duo Andreotti-Onesti fece centro, ma il vero successo diplomatico si manifestò sul fronte delle Olimpiadi con il marchio italiano. Nel 1949 il Cio assegna l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 1956 a Cortina e nella seduta del 15 giugno 1955,  35 voti contro i 24 espressi per Losanna aggiudicarono a Roma l’organizzazione dell’evento olimpico del 1960. Era finita l’era de Gasperi e per Andreotti, che stava per essere nominato ministro delle Finanze, fu un vero trionfo, anche se dovette cominciare a navigare con le proprie forze, nelle acque agitate della politica italiana.

Nel 1958 Andreotti, all’epoca divenuto Ministro della Difesa, viene nominato presidente del Comitato organizzatore, con la struttura organizzativa che venne attinta direttamente dai quadri del Coni. Nessuno venne pagato e alla fine il personale fu premiato con una medaglia ricordo. Andreotti stesso in un articolo da lui firmato per 30 Giorni ha scritto che “nessuna Olimpiade è costata meno di quella di Roma. L’essenziale era il non far spese superflue”. Costò 50 milioni di dollari, ma le spese furono quasi tutte coperte dagli introiti del Totocalcio. Dunque fu un evento all’insegna del rigore, ma fu anche molto popolare e il senatore ricordò in seguito come “per strada e nei bar non si parlasse d’altro, e come anche le anziane signore restassero attaccate alla radio per sapere trepidanti chi aveva vinto i cento metri, o i tuffi”.

La collaborazione con i militari già sperimentata a Cortina si intensificò e comunque Roma cambiò volto, senza per questo assistere alle opere incompiute degli ultimi cinquant’anni. Fu realizzata la strada interna a scorrimento veloce detta via Olimpica e il villaggio degli Atleti, in via Gori, al posto di una baraccopoli, i cui 1800 appartamenti furono poi destinati agli impiegati statali. Vennero utilizzati, ammodernandoli, impianti sportivi già esistenti, costruiti nel Ventennio, come lo stadio Olimpico, il Foro italico, lo Stadio dei marmi e quello del nuoto. Altre aree coinvolte furono il quartiere Flaminio e il Parioli con il nuovo stadio per il calcio e l’Eur con il palazzo dello Sport. Roma ottenne per l’evento anche la prima linea metropolitana e vide impegnati architetti di fama come Pier Luigi Nervi, Annibale Vitellozzi, Vittorio Cafiero e Luigi Monaco.

Fu un momento importante anche per la diplomazia, visto che la Germania partecipò con una squadra unificata, mentre qualche problema lo creò l’intenzione di  Formosa di sfilare sotto il nome di Repubblica della Cina, mentre fu l’ultima apparizione (riammessa nel 1992) della squadra del Sudafrica a causa dell’apartheid.     

Giovedì 25 agosto 1960 allo stadio Olimpico alla presenza di 80mila spettatori andò in scena la cerimonia d’apertura, con la sfilata delle squadre, il discorso ufficiale del presidente del Comitato, Andreotti, e la formula di apertura pronunciata dal presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nel suo discorso Andreotti puntò l’attenzione sul fatto che essendo “troppi i motivi di contrasto che tengono in apprensione gli spiriti di centinaia di milioni di famiglie e che spesso la violenza prende il sopravvento sui veri interessi dei popoli, che non possono essere che interessi di pace. Pertanto tutto ciò che contribuisce a indirizzare le energie degli individui e delle nazioni, verso pacifiche competizioni, deve essere apprezzato, riconosciuto e sostenuto” (…) Un mese di convivenza nel Villaggio Olimpico di qualche migliaia di giovani provenienti da 86 paesi, può contribuire di più alla causa della pace, più di quanto non riescano le difficili operazioni politico-diplomatiche che prendono le mosse ai vertici”.

Andreotti dopo aver rivolto a tutti i partecipanti un affettuoso benvenuto fece notare che sarebbe stata la prima olimpiade moderna a ottenere la copertura quasi completa dei mezzi televisivi e cinematografici. I media diffusero in tutto il mondo le gare, ma chi bucò lo schermo fu Abebe Bikila, l’etiope che a piedi nudi vinse la maratona, passando sotto l’arco di Costantino.