Nella sua intensa attività intellettuale e saggistica, Mario Caligiuri si occupa di un settore socialmente necessario per la sicurezza dello Stato e la tenuta delle istituzioni. In un mondo sempre più complesso, insicuro, in cui prendono forma minacce nuove e diffuse (economiche, informatiche, sanitarie eccetera), lo studioso, docente di Pedagogia della comunicazione, presidente della Società italiana di intelligence e direttore del master in Intelligence dell’Università della Calabria, promuove una cultura della sicurezza, capace di guardare alla storia con occhio attento e critico. In tale contesto, si colloca l’opera Giulio Andreotti e l’intelligence (Rubbettino 2021), curata da Caligiuri, che raccoglie una serie di contributi rigorosi e documentati sulla storia della prima repubblica.



In quel periodo l’Italia fu il crocevia della Guerra fredda, combattuta prevalentemente attraverso l’intelligence. E Andreotti fu un protagonista decisamente importante della storia italiana del tempo, perciò “affrontare il tema dei Servizi unitamente alla figura di Andreotti significa demitizzare due ambiti: l’intelligence e Belzebù (uno dei tanti appellativi del politico democristiano), analizzandoli da una prospettiva scientifica”.



L’attività di Andreotti, a livello di metodo, si basò, per lo storico Paolo Gheda, sul necessario contenimento dei Servizi. I dossier legati all’intelligence venivano sottoposti a valutazione critica e politica con una cautela, dovuta anche al prudente scetticismo del politico democristiano. “Andreotti non dimenticò di sottolineare la necessità del controllo delle attività dei Servizi, e lo stretto confinamento delle loro procedure”. Le sue rivelazioni su Giannettini a Il Mondo nel 1974 e sull’esistenza della rete Gladio nel 1990 restano, poi, emblematiche, per la loro imprevista perentorietà.



Ma non bisogna dimenticare l’attività politica nel Mediterraneo, legata all’atlantismo e tuttavia attenta all’interesse nazionale. Luca Micheletta, docente di Storia delle relazioni internazionali, esamina le relazioni italo-libiche negli anni Settanta-Ottanta nelle loro complesse sfaccettature. Lo studioso sottolinea che tra le molteplici accuse mosse a Gheddafi ve ne fu una sicuramente inesatta e smontata dall’intelligence italiana. Il Sismi contraddisse le informazioni ricevute sul sito di Rabta. Nel complesso di Rabta, ultimato, non vi era attività produttiva di aggressivi chimici dell’impianto Pharma 150, né vi era acquisizione di capacità volte a produrre armi chimiche.

Tale verifica metteva in luce, insomma, una politica assertiva divergente rispetto a quella italiana, caratterizzata da iniziative di dialogo critico, attente al quadro politico complessivo. Negli ultimi anni della sua vita, Andreotti, secondo Caligiuri, intravedeva nelle sue vicende giudiziarie “una regia estera, magari di settori del deep state statunitense”. Il fascicolo libico, Sigonella e altri capitoli, insomma, erano stati nodi cruciali, presentatisi con il loro conto, dopo la caduta del Muro di Berlino del 1989.

Nella sua articolata ricchezza, il saggio costituisce solo un inizio, un punto di partenza per approfondire ulteriormente la storia della prima repubblica oltre che per mettere a fuoco questioni decisive per la nostra tormentata contemporaneità: formazione delle élites, ruolo dei partiti, dimensione decisiva della politica estera, confronto con il volto oscuro del potere, rapporto tra politica e giustizia. Si tratta, per Caligiuri, di entrare all’interno di tali questioni, con conoscenza e competenza, per “costruire una comunità nazionale capace di affrontare le sfide globali del XXI secolo”.

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