Se è vero che uno dei motori di un sistema sociale è la generosità dei maestri e la capacità di suscitare nei loro allievi “l’entusiasmo della curiosità” e la loro gratitudine, il pensiero non può non andare a tante figure femminili che si sono distinte nel campo dell’educazione e che hanno dedicato tutta la loro vita all’insegnamento e al bene delle loro allieve. Una di queste è certamente Aurelia Josz, ebrea, pioniera dell’agraria al femminile, deportata e morta ad  Auschwitz  nel 1944.



Promotrice di valori umanistici e morali, ha cercato di emancipare le donne dall’arretratezza culturale e sociale, insegnando loro metodi innovativi di coltivazione e offrendo loro consapevolezza e dignità di ruolo: non più semplici lavoratrici da sfruttare, ma esperte professioniste, capaci di portare avanti da sole un’azienda e proseguire anche dopo la scuola un percorso di autoformazione.



Aurelia nasce a Firenze il 3 agosto 1869. Suo padre Ludovico, ebreo di origine ungherese, è un importante incisore, mentre la madre, Emilia Finzi, è una maestra di origini ferraresi. È la primogenita di quattro fratelli: Livia, Italo e Valeria, di cui deve occuparsi all’età di soli quattordici anni quando la madre viene a mancare.

Diplomatasi in lettere, lascia Firenze nel 1890 per trasferirsi a Milano dove lavora come docente di storia e geografia presso la scuola G. Agnesi e, dal 1920 al 1934, presso l’Istituto Tenca. Una lapide, posizionata all’interno di questo istituto dalle sua amate allieve, ricorda attraverso le parole dal lei stessa pronunciate il monito a spendersi in nome di grandi ideali: “Di qualche cosa, oltre il pane, per qualche cosa che sembri degna, bisogna pur vivere.



La sua lunga carriera di insegnante è segnata dalla ricerca di nuovi metodi didattici che possano accendere l’interesse nelle nuove generazioni di studenti e scrive di suo pugno dei manuali scolastici che trovano ampia diffusione. Ma i suoi interessi volgono altrove, verso il mondo rurale e verso le moderne scuole agricole al femminile, attive e ben funzionanti all’estero. Così, dopo aver intrapreso numerosi viaggi in Svizzera, Belgio e Gran Bretagna, che le servono per conoscere le più moderne metodologie didattiche, prende posizione e denuncia apertamente l’arretratezza delle scuole agricole italiane con un articolo pubblicato nel 1898 sul Fanfulla della Domenica. Si tratta di un’arretratezza resa ancor più grave dalla situazione di quegli anni in cui le campagne si stanno spopolando per creare nelle città un proletariato urbano sfruttabile come manodopera a basso costo, abbandonato ad un degrado morale e sociale, che non sfugge agli occhi di Aurelia. Ella simpatizza con le idee del socialismo nei suoi risvolti umani e sociali, ma ciò che le sta più a cuore è a far sì che le buone idee possano concretizzarsi e diventare operanti.

L’occasione di realizzare il suo sogno si presenta quando il consiglio dell’orfanotrofio Le Stelline, con sede in Milano, propone di aprire un ramo di insegnamento in Agraria, mettendo a disposizione le aule e un piccolo appezzamento di terreno: Aurelia subito si fa avanti. Nel 1902 apre la prima Scuola Pratica Agricola Femminile. Le sue allieve divengono le orfane che vi risiedono, solo in seguito si aggiungono anche esterne. Aurelia chiama ad insegnarvi i più importanti agronomi e istituisce corsi teorico-pratici bisettimanali di floricoltura, bachicoltura, apicoltura e caseificio.

L’istituzione del convitto permette anche il recupero fisico e morale di queste giovani ragazze che vengono educate ad una vita semplice, all’aria aperta e a contatto con la natura. Aurelia infatti sposa in pieno il pensiero di Tolstoj che riconosceva alla civiltà contadina una superiorità morale capace di rendere migliore chiunque vi venisse a contatto e che aveva detto: “Tornate alla terra se volete essere felici”.

Ben inserita nell’ambiente milanese, ottiene molti riconoscimenti e plausi di importanti uomini di cultura e il suo operato è sostenuto anche da altre donne che fanno parte dell’Unione Femminile Nazionale, fra queste Ada Negri, che la elogia pubblicamente e sulle pagine del Corriere della Sera, Alessandrina Massini Ravizza, donna di grande cultura e operatrice in campo sociale, Ersilia Bronzini-Majno e Maria Camperio, che diviene il suo “braccio destro”.

In seguito la scuola viene trasferita in una nuova sede a Niguarda, a Villa Clerici-Melzi, per la necessità di trovare un appezzamento più grande di terreno. Aurelia, all’apice del successo, ottiene nel 1914 la Medaglia d’Oro del Ministero dell’Istruzione e dal 1921 al 1931 porta aventi un altro importante progetto, affiancando al corso ordinario il nuovo Corso magistrale di Agraria per la specializzazione delle maestre rurali.

Al governo fascista non sfuggono il carattere di sperimentazione e di avanguardia della sua scuola, nonché la convergenza con i valori e le politiche del regime che proprio in quegli anni sta portando avanti la battaglia per il grano, tanto che ad Aurelia viene chiesto di istituire fuori Roma, a S. Alessio, una scuola simile a quella di Niguarda. In seguito però il governo fascista le toglie l’incarico in quanto ebrea e poiché si rifiuta di prendere la tessera del partito: la scuola nel 1931 viene chiusa e quando riapre nel 1933 a dirigerla viene posta una nuova direttrice gradita al regime. Privata della titolazione della scuola Aurelia non si perde d’animo e si dedica  alla passione per la scrittura. Oltre alla sua autobiografia Storia di un’idea e di un’opera, scrive un’edizione scolastica dell’Orlando innamorato del Boiardo e il romanzo Severino Boezio.

Rifiutatasi di espatriare dopo le leggi razziali del 1938, nel 1944 viene arrestata e deportata prima a Fossoli e poi ad Auschwitz, dove muore il giorno dopo il suo arrivo, il 30 giugno 1944.

“Si muore, ma la morte ci trova ben vivi” scrive Aurelia nella sua autobiografia, e viva ancora oggi è la forza della sua testimonianza, che continua ad operare attraverso i valori in cui ha creduto e il suo metodo pedagogico che viene portato avanti dalla Scuola di Agraria che, dal 1956, si è trasferita all’interno del Parco di Monza presso la Cascina Frutteto. Una lapide posizionata all’interno dell’edificio ricorda Aurelia come fondatrice della scuola che, dal giugno 2019, è a lei titolata.

Nel 2015 il Comune di Milano le ha dedicato l’Orto botanico in via Rodolfo Margaria a Niguarda mentre La Casa della poesia di Monza le ha dedicato un premio letterario e ora, grazie alla sua presidente Antonetta Carrabs e alle numerose iniziative da lei promosse, la sua figura comincia ad essere maggiormente conosciuta.

Nel corso del biennio 2018–2019 in alternanza scuola-lavoro con La Casa della Poesia di Monza due classi del Liceo Modigliani di Giussano hanno realizzato una brochure divulgativa, una Intervista immaginaria e un video dal titolo Storia di Aurelia Josz.

L’entusiasmo con cui i ragazzi hanno lavorato su questa figura è la dimostrazione della sua capacità di conquistare le giovani menti con lo stesso fascino con cui sapeva coinvolgere le studentesse di inizio ’900, suscitando ammirazione e riconoscenza come sanno fare solo i veri maestri.

Quest’anno, in occasione della celebrazione della Giornata della Memoria, l’Archivio Storico Intesa San Paolo ha dedicato proprio a lei e ad altri cinque ebrei milanesi una mostra che si è conclusa il 23 febbraio presso le Galleria d’Italia dal titolo Storie restituite. I documenti della persecuzione antisemita. Un piccolo passo in più verso la ricoperta di questa grande figura del ’900, che merita di essere compresa, studiata, amata.