Le persecuzioni dei cristiani che si succedettero dall’epoca di Nerone a quella dei tetrarchi Diocleziano, Massimiano e Galerio (non vi partecipò solo Costanzo Cloro, il padre di Costantino, allora Cesare per l’Occidente) hanno lasciato molte testimonianze scritte e iconografiche, che ci hanno permesso di conoscere nomi e storie dei martiri.
Le prime testimonianze scritte sono coeve ai fatti: si tratta per lo più di Acta, resoconti di processi, nella forma scarna dell’interrogatorio giudiziario; nascono poi le Passiones, racconti in prosa più ampi, con qualche intenzione letteraria. Dopo l’acquisizione della libertà religiosa questi racconti trovano nuova espressione in uno dei primi poeti cristiani in lingua latina, Aurelio Prudenzio (348-dopo il 405).
Spagnolo di nascita (a Tarragona o Saragozza) come lo stesso imperatore Teodosio che lo apprezzò e lo volle a corte, Prudenzio condivide con sant’Ambrogio l’epoca, l’opposizione alle ultime resistenze pagane nelle classi colte e al diffondersi di eresie nella Chiesa cristiana: e ne condivide anche la ripresa del genere innografico, seppure con intenti e modalità differenti, più rivolta ad un pubblico di lettori la sua, maggiormente destinata all’uso liturgico quella del grande vescovo di Milano.
Ma l’opera più famosa di Prudenzio è il Peristephanon liber, una raccolta di quattordici poesie dedicate a uno o più martiri, con un’ampia varietà sia di epoche, sia di luoghi, sia di età e condizioni. Queste poesie, che alcuni critici definiscono ballate, genere narrativo che sarà caro soprattutto alla letteratura anglosassone, utilizzano la metrica classica (esametri, giambi e altro) e traggono dai modelli pagani immagini, metafore, temi, rivisti in chiave cristiana. L’intento è chiaramente agiografico, la contrapposizione di eroi ed eroine cristiane agli eroi mitologici e storici della letteratura classica, che all’epoca forniva materia privilegiata, se non unica, nelle scuole; ma è anche quello di reinventare una nuova letteratura, come tentarono prima di lui Giovenco e una generazione più tardi Paolino da Nola.
Comune a tutti i suoi protagonisti è un’incrollabile fermezza sia nel decidere per Cristo, sia nell’esporre le proprie ragioni, sia nell’accogliere il martirio. Incontriamo una ragazzina dodicenne, Eulalia, di nobile famiglia della Lusitania: la madre vuole tenerla in campagna al riparo dalle persecuzioni, ma Eulalia fugge di notte, percorre la distanza dalla città in un paesaggio ostile che richiama descrizioni pagane dell’oltretomba, ma illuminato da un coro di angeli paragonati alla colonna di luce degli Ebrei nell’Esodo. In città si rivolge direttamente al magistrato, accusandolo di follia per la sua pretesa di combattere la fede cristiana, e con molta audacia respinge il tentativo dell’uomo, impietosito dalla sua giovinezza, di convincerla. Muore fra le fiamme coi capelli a coprire la sua modestia: l’anima esce come una colomba, spaventando i carnefici, mentre una coltre di neve copre il corpo della martire.
Un’altra fortis puella è la romana Agnese, che il persecutore decide di umiliare esponendola sulla piazza come prostituta; tutti i passanti però evitano di guardarla, tranne un giovane che osa levare gli occhi su di lei e rimane cieco e morente, fino a che le preghiere di Agnese gli ridanno vista e vita. Infine Agnese muore per decapitazione e la sua anima è accolta dagli angeli in un luminoso sentiero.
A volte la fermezza del martire è capace anche di battute di spirito, come è il caso di Lorenzo. Diacono al seguito del Papa Sisto II, viene sospettato di custodire grandi ricchezze ecclesiastiche e riceve l’ordine di consegnarle. Lorenzo allora per tre giorni raccoglie infermi e mendicanti e li presenta come ricchezze della Chiesa. Il persecutore si sente preso in giro e fa porre Lorenzo su una grata accesa, dove il martire avanza la celebre richiesta di girarlo per cuocerlo da ogni parte. Ma soprattutto prima di morire profetizza la fine del paganesimo: e il poeta presenta come conseguenza la conversione di alcuni senatori e di nobili famiglie, il ridursi del culto popolare idolatra, la fede cristiana sbocciata in esponenti del sacerdozio pagano, il pontifex, la vestale, i Luperci.
La tradizione letteraria precedente si nota in Prudenzio particolarmente nel gusto per l’orrido e il macabro già tipico di autori pagani quali Lucano e Seneca, soprattutto nel martirio di Romano e del bambino che prende le sue parti sostenuto dal severo monito della madre. La descrizione delle torture è molto accentuata e prolungata, con una ricerca dell’effetto che prevale sulla pietas. Esito della tradizione retorica classica è poi la presenza di discorsi del santo prima o durante il martirio, costruiti con abilità argomentativa tanto da controbattere le ragioni degli avversari: nel già citato martirio di Romano il taglio della lingua segna l’impossibilità per il persecutore di opporre alle parole del martire altra risposta se non violenta.
Invece legato alla storia personale di Prudenzio è il commosso elogio dei due fratelli martiri di Calahorra, in Spagna, cui è dedicato l’inizio della raccolta: la loro storia, molto meno nota di altre, ha lasciato pochi ricordi e poche tracce ma, se i nomi sono scritti in cielo, il sangue versato per Cristo ha dato onore alla terra natale del poeta.
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