Troneggia maestosa, dall’alto del suo basamento di pietra, la statua monumentale di Bach, al fianco della chiesa di San Tommaso, nel centro storico di Lipsia: il luogo che dopo le distruzioni dell’ultimo conflitto mondiale ospita la presunta sepoltura del grande compositore tedesco.
L’immagine ha qualcosa di imponente. Alle spalle del musicista, la facciata di un organo evoca il sigillo distintivo del suo genio, mentre la mano destra impugna vigorosamente uno spartito. Lo sguardo fiero, che quasi scivola nel distacco di una trattenuta severità, corona la corporatura massiccia, cifra simbolica di rinvio, per noi che guardiamo, a una solidità e a una pienezza di riuscita che il gusto musicale universalmente gli riconosce, facendo di lui uno dei maestri indiscussi dell’arte dell’Occidente moderno.
Se però si guarda alle giovani generazioni e alla folla dei fruitori della musica di più rapido consumo, si avverte istintivamente la sensazione di una marcata distanza: la musica dei grandi maestri del passato tende a essere rinchiusa nei bastioni di un patrimonio elitario, circondato da un rispetto che non ha certamente i tratti dell’entusiasmo generalizzato. Per tanti, persino il nome di Bach può essere ridotto a niente di più che la vuota etichetta di una cerimonialità d’altri tempi, rimasuglio di un mondo ormai in larga parte perduto (benché, sia chiaro, l’ascolto anche soltanto occasionale di uno dei Concerti brandeburghesi, delle Variazioni Goldberg o di qualcuno dei capolavori organistici possa continuare a catturare, cogliendolo di sorpresa, anche l’uditore più superficiale o distratto).
Riproporre l’occasione di un incontro con il mondo musicale di Bach, fiorito nella Germania della prima metà del Settecento, è l’opportunità per una verifica che può rispondere a un vuoto, creato non tanto dal rifiuto deliberato di un certo tipo di espressività culturale tradizionale, quanto dall’assenza di significative frequentazioni dirette. Anche per chi già nutre una convinta ammirazione per qualcosa di conosciuto da vicino, d’altra parte, lo spazio per approfondimenti e messe a fuoco ulteriori rimane sempre spalancato.
A queste diversificate esigenze si propone di offrire un aiuto, se non altro di primo orientamento, il dossier che apre l’ultimo numero della rivista Lineatempo, raccolto sotto il titolo “J.S. Bach: quando la fede si fa musica, canto e vita” e da poco disponibile online. Con il contributo di autorevoli esperti degli argomenti presi in esame, si tracciano le linee per un accesso guidato al vasto orizzonte delle creazioni bachiane.
È l’invito a un’apertura di credito, che chiede semplicemente la fiducia di un ascolto, al di là degli schemi prefabbricati del già saputo e del già codificato. Non si può che partire dalla sosta di un silenzio che desidera fare spazio alla voce e ai suoni di un mondo che ancora ci lancia i suoi richiami e i suoi segnali di suggestione, chiedendo di essere ospitato nel cuore del nostro presente. Basta mettersi sulla stessa lunghezza d’onda, provare a lasciarsi interpellare da una bellezza gravida di significati che possono tornare al massimo grado eloquenti anche per noi.
Il percorso di attraversamento della musica di Bach si presenta scandito in tre tappe principali. La prima lascia il posto d’onore alla musica vocale sacra, con i gioielli delle Cantate, degli Oratori e delle Passioni, vertici prestigiosi di un paesaggio creativo sempre “d’alta quota”. Poi si passa alla musica per organo, analizzando i cicli di opere che si sono imposti come paradigmi di eccellenza in riferimento a questo strumento. Infine si giunge al momento conclusivo della maturità del compositore, con le ultime monumentali creazioni segnate dall’ambizione di esplorare le nuove possibilità di una musica “speculativa”, più “astratta” e spiritualizzata, proiettata verso il futuro.
D’altra parte, tutta la più grande musica porta il marchio esplicito del contesto che l’ha generata. Per questo motivo, il confronto con uno stile particolare del linguaggio creativo non può ridursi a pura fruizione estetica. La bellezza che ci restituisce, per essere colta nella sua profondità, esige di essere decifrata, fin dove si può, nelle sue radici. E più si comprende partendo da dove, con quali intenzioni e secondo quali caratteristiche un creatore di musica si cimenta nelle sue incursioni nel cantiere del “paesaggio sonoro”, più il suo messaggio si carica di coinvolgenti implicazioni: acquista echi e significati sempre più trasparenti, ci riporta alla mente stessa di colui che vi ha dato forma.
Un tale metodo si applica alla perfezione anche al caso di Bach. Per rendere pienamente intelligibile il senso della sua impresa artistica, non possiamo trascurare la conoscenza del suo percorso biografico, lo scenario storico in cui si sono plasmati la sua personalità nonché l’influenza e il fascino vero e proprio che la sua figura hanno esercitato sui posteri.
Scorrendo il dossier, se ne ricava la conferma che la cornice in cui la musica di Bach ha guadagnato la sua fisionomia compiuta è il contesto dell’Europa cristiana al culmine dell’Antico Regime: la grande “casa comune” di un mosaico di popoli in relazione tra loro e capaci di interagire contaminandosi a vicenda, in uno scambio in cui ogni identità particolare offriva qualcosa di proprio e si predisponeva ad assimilare quanto trovava di buono o di utile per sé, al di là delle divergenze e dei conflitti anche molto aspri generati dalla coesistenza obbligata. In questa cornice, l’ambito più circoscritto da cui la musica di Bach è scaturita con la sua carica di potente suggestione è quello della Germania luterana percorsa dai fermenti di rinnovamento della rinascita pietista.
Ma la sua arte non è rimasta monopolio di una frazione ristretta. Come dimostra la fortuna postuma che la musica bachiana ha conosciuto, a partire, almeno, dalla celebre riscoperta per opera di Felix Mendelssohn, questa musica ha scavalcato le frontiere e attraversato le epoche, rinascendo dalle ceneri di un mondo che, poco a poco, andava svanendo.
Tutto questo, oggi, è diventato più chiaro. Si spiega così, ancora meglio di quanto non avvenisse ieri, in che senso J.S. Bach possa essere accostato come parte viva di una eredità condivisa.