Ad Aquileia, nel cimitero militare che sta dietro la basilica, vi è una tomba assai speciale. Custodisce le spoglie di dieci soldati posti in cerchio e, in mezzo, vi è una donna, Maria Bergamas, una povera contadina che fu chiamata, un secolo fa, a scegliere tra undici bare di soldati sconosciuti il Milite Ignoto. Era il 28 ottobre 1921. Nella basilica si celebrava uno dei momenti più alti della fondazione della nostra nazione. Terminata da poco la guerra, l’Italia fondava la propria identità su un povero figliolo senza nome che era chiamato a rappresentare tutti i figli d’Italia caduti e mai più tornati. Infiniti ignoti su cui l’Italia affondava le proprie radici. 



Impossibile immaginare cosa avvenne quella mattina brulla in quella chiesa di frontiera. Una povera donna di Gradisca di Isonzo, madre disperata di un figlio mai più tornato, dopo che era stata esclusa la candidatura di duchesse e nobildonne, era chiamata, in una cerimonia straziante, a dialogare con le undici bare allineate ai piedi dell’altare. Cattedrale di Aquileia gremita e silenziosa. Undici martiri “senza nome” e lei, Maria Bergamas, madre silenziosa che aveva il compito di afferrare, in quella notte eterna, quello sguardo notturno. Lo sguardo di un figlio. A lei il compito di affidarlo ad una maternità condivisa, universale, ad un’intera nazione, a tutto il suo popolo. Madre di tutti quegli ignoti, Maria Bergamas stabilì il candidato all’onore patrio, non con una scelta, ma svenendo definitivamente davanti alla sua bara. La decima.



Il suo viaggio verso Roma fu epico. Lungo i binari, al passaggio del treno che a passo d’uomo trasportava quel figlio senza nome, milioni di italiani salutarono assiepati lungo i binari, quel figlio di tutte le madri e di tutti i padri d’Italia. Lì, per la prima volta, al di là delle pretese della politica e degli intellettuali, gli italiani si facevano da sé, si riconoscevano intorno ad una vita spezzata. La Nazione, finalmente, trovava e riconosceva la propria radice mitologica.

La storia del Milite Ignoto potrebbe terminare qui. Se non fosse che Maria Bergamas nel suo incedere stanco e straziato, ha affidato a quel gesto una radice poetica altissima. Vestita di nero, col velo davanti agli occhi, abbracciò ogni bara come fosse quella del suo figlio sventurato. Come poter scegliere? Come poter decidere tra undici figli uguali nella sventura?



Quel 28 ottobre la maternità sembrava vivere il suo momento più alto e misterioso. Eppure vi era qualcosa di innaturale nel rito straziante che Maria stava compiendo: una madre era chiamata a scegliere il figlio di tutte le madri.

Quale mistero si cela in quella liturgia, così laica e insieme così densamente religiosa? Il niente ora è. Quelle spoglie ora sono. Forse il mondo antico si chiude qui, prima che il simbolo scardini la forza esistente del segno.

Undici bare senza nome che si fanno atlante vivente di un popolo disseminato, che ha portato nella trincea fardelli così diversi tra loro nelle diverse latitudini e gioie e amori. La storia si è preoccupata e si preoccupa di spiegarci il perché. Non ci sa spiegare, tuttavia, come è avvenuta tale transustanziazione civile. Si può comprendere soltanto grazie all’ausilio di un poeta che, riascoltando quei dialoghi mozzati dal dolore, ne raccolga l’alito e, aggiungendo poesia a poesia, restituisca quel momento e quel luogo a una sensibilità condivisa, se ancora ve n’è. Quel poeta si chiama Massimo Bubola che nel libro Ballata senza nome ha ridato vita e parola a quelle esistenze spezzate.

Nel 1953, poco prima di morire, Maria Bergamas espresse un desiderio: essere sepolta con i dieci suoi figli senza nome e senza l’onore dell’Altare della Patria. Essi già riposavano nel piccolo cimitero militare di Aquileia. Fu esaudita. Chiese perdono al marito e ai figli, e alla sua morte vennero riesumati i dieci soldati, posti intorno a quella madre che tanto li aveva amati. Oggi riposano insieme in una tomba che li accoglie sotto un piccolo altare che è un inno alla patria e soprattutto il canto della maternità.

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