Chi ha tra le mani questo bel volume lo spalanchi subito a pagina 283, vedrà a tutta pagina il volto inaspettato di un congolese che custodisce una vicenda poco nota.
Il libro merita tutti gli euro che chiede in cambio: Basilica papale di Santa Maria Maggiore (Scripta Maneant, 435 pagine, 64 euro) è un’opera sontuosamente illustrata dedicata al bastione mariano di Roma, la più antica chiesa della Città eterna intitolata alla Madre di Dio, Dei genitrix, centro plurisecolare di devozione, storia e arte, che ha aperto a Capodanno la Porta Santa e dove Papa Francesco ha dichiarato di voler esser seppellito.
Tornando all’africano summenzionato: quel busto in porfido policromo raffigura Ne Wunda, il “Negrita” come fu affettuosamente appellato dai romani, un ambasciatore africano che all’inizio del 1600 fu inviato dal re del Congo al Papa per chiedere un suo intervento nella terra dove i missionari portoghesi spadroneggiavano un po’ troppo disinvoltamente. Ne Wunda arrivò a Roma dopo un viaggio sfortunatissimo, in condizioni di salute precarissime e morì tra le braccia di Papa Paolo V che lo aveva preso a benvolere e gli tributò una solenne processione funebre per la città facendolo poi seppellire in basilica, dove tuttora riposa in pace.
Ma quella del “Negrita” è solo una delle storie “minori” raccolte a Santa Maria Maggiore, baule stracolmo di vicende più o meno note e splendidamente narrate in forma artistica. Ad esempio chi sarà stato ad imprimere di frodo nel muro di fondazione ancora fresco, verso il 425, la figura di un suonatore di aulos, l’antico flauto doppio, credendo che nessuno lo avrebbe mai trovato visto che la parete era destinata all’interramento (infatti è stata notata solo 1500 anni dopo, in occasione degli scavi)?
In queste pagine ci sono tutte le storie, piccole e grandi, spiegate da testi dei migliori specialisti (Raub, de Blauuw, Barry, Brandt, Kieven, Guido, Nesselrath, Tosini, Zanchettin) ma ancor meglio inquadrate da uno spettacolare e abbondantissimo corredo fotografico. Qui sono illustrati dettagli inaccessibili all’occhio nudo; certo non il celebre presepe di Arnolfo di Cambio, la prima Natività con personaggi scolpita nella storia (che anzi, essendo stato trasferito nel Nuovo Polo Museale Liberiano diretto da Andreas Raub e appena inaugurato, è ora visibile ben illuminato e a 360 gradi), quanto piuttosto particolari dei vivacissimi mosaici paleocristiani e medievali di Jacopo Torriti e Filippo Rusuti. Ad esempio è emozionante ammirare a pp. 74 e 75 la delicatezza del gesto di incoronazione di Maria da parte del Figlio che campeggia nel mosaico al centro dell’abside. Oppure notare (p. 380) la prima raffigurazione artistica della neve, nel mosaico della ex facciata ora Loggia delle benedizioni. Neanche un’accurata visita guidata può offrire tali viste.
Naturalmente Santa Maria Maggiore una visita in persona la merita eccome, per la sua rilevanza storica e la sua preziosità artistica. È detta Basilica Liberiana perché tradizionalmente la si sovrappone alla basilica voluta da papa Liberio nel 352 – quello della prodigiosa nevicata agostana annunciata in sogno da Maria al patrizio Giovanni e al papa stesso – anche se probabilmente i due edifici erano un po’ discosti e non sovrapposti (ad attestarlo sono gli scavi); ma anche la basilica voluta da Sisto III nel 432 possiede la sua leggenda miracolosa. Da qui partì la processione solenne guidata da papa Gregorio Magno nel 590 che recando in ostensione l’icona della Salus Populi Romani (dipinta da san Luca, leggenda nella leggenda), liberò Roma dalla peste giungendo a Castel Sant’Angelo, dove la statua alata in vetta alla Mole Adriana rinfoderò la spada e una schiera di angeli apparve a intonare per la prima volta i versi iniziali del Regina Coeli laetare alleluia.
A Santa Maria Maggiore sono sepolti otto Papi, san Mattia e san Girolamo, e anche Gian Lorenzo Bernini la scelse come dimora del suo ultimo riposo, qui si venera la preziosa reliquia della Sacra Mangiatoia (per questo la chiesa è detta la “Betlemme d’Occidente”) e qui si ha la percezione spaziale di come doveva apparire un’antica basilica romana, giacché la sua struttura architettonica è rimasta praticamente intatta.
“Vergine Maria, a te io Sisto (papa Sisto III, ndr), dedico questa nuova dimora, degno dono al tuo grembo salvifico. Tu, o Madre, non conoscendo uomo, sei diventata feconda, hai fatto nascere dal tuo grembo intatto la salvezza di tutti”: così si legge nell’iscrizione di dedica. Una chiesa, quella che sorge sul colle più alto di Roma, l’Esquilino, frutto del postconcilio (di Efeso) che proclamò nel 431 Maria Theotokos, Madre di Dio, uno scrigno d’arte e di fede in cui la preghiera sale al Cielo trascinata da una divina bellezza.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.