È davvero raro trovare un uomo che desidera la vita con intensità ed energia. Uno di questi è Boris Belenkin, direttore della Biblioteca Memorial, una persona speciale che cerca con profondità: ama e fa amare la vita. E con le sue avventure improbabili e talvolta esilaranti fa anche sorridere. In una vecchia foto del 1977 lo vediamo con un maglione di lana indiana acquistato per il matrimonio a 60 rubli, quando la paga media nell’URSS era di 150 rubli. Appare fiero del suo maglione e cosciente della sua unicità. Nella sua narrazione, poi, ci coinvolge nei mille mestieri fatti con astuzia, per destreggiarsi e non affondare nelle sabbie mobili sovietiche. La storia di un uomo come tanti, certo, ma con una diversità decisiva: la ricerca della verità storica.
Il suo libro Non lasciare che ci uccidano. Storie di Memorial (Rizzoli 2024), pubblicato in Italia grazie allo straordinario lavoro di Marco Clementi, è la viva e sofferta testimonianza di un mondo intellettuale che ha subìto ostacoli, persecuzioni, ostracismo e infine la liquidazione giudiziaria. Il potere, infatti, ha paura di chi, come Memorial, vuole “difendere il diritto alla memoria storica, rifiutare la violenza dello Stato e le violazioni dei diritti individuali, comprese le repressioni più moderne di Putin”.
Belenkin nel suo itinerario ci fa scoprire i suoi compagni di viaggio nell’avventura di Memorial. Volti di storici che non si accontentarono delle menzogne della propaganda sovietica. Grazie alla loro fatica, al loro coraggio e alla loro sofferenza è stato possibile ridare nome, dignità e verità a milioni di vittime del comunismo.
Emerge innanzitutto la grande personalità di Arsenij Roginskij (1946-2017), arrestato nell’agosto del 1981 e condannato a quattro anni di campo. La sua storia personale era già stata molto dolorosa. Il padre, infatti, era stato accusato e poi ucciso. Roginskij intraprese, in gioventù, la via dello studio ed ebbe come supervisore scientifico all’Università di Tartu il grande filologo Jurij Lotman. La grandezza di Roginskij è stata quella di non avere esercitato in Memorial una leadership verticale, a partire dalle sue elevate competenze. Favorì invece un modello associativo a struttura reticolare e senza leadership. Un gruppo di studiosi senza potenziali fazioni, dunque, in cui il lavoro si svolgeva, contemporaneamente, in autonomia e fianco a fianco per lo stesso fine.
Belenkin ricorda, poi, con commozione, alcune parole del monologo-testamento di Roginskij nel film Il diritto alla memoria (2017): “Non lasciare che ti uccidano! Questo è il primo punto, che con sé porta molte conseguenze comportamentali, sia retoriche, nel modo, cioè, di assumere pubblicamente posizione. Ne consegue un secondo: non lasciandosi uccidere, è assolutamente importante preservare la dignità dell’organizzazione. Dignità è la parola chiave qui. E c’è un terzo principio: nonostante tutte le difficoltà, si deve continuare a lavorare!”.
Lo scrittore parla poi nelle pagine successive di Elena Žemkova, matematica di Odessa. La studiosa ha il merito di avere promosso la toccante cerimonia de La restituzione dei nomi. Il 29 ottobre dalle 10 alle 22, ogni anno dal 2007, davanti alla Pietra delle Soloveckie, venivano letti ad alta voce i nomi delle persone trucidate dalla cattiveria del regime: un elenco interminabile. Attualmente l’iniziativa subisce ostacoli vari, perciò ha luogo in anticipo e in posti differenti.
Jan Račinskij è un’altra tra le grandi personalità di Memorial. Una persona che va contropelo alla realtà imposta dall’ideologia del buio. Il suo giudizio intellettuale è chiaro e netto. I libri di storia, anche quelli occidentali, omettono la verità. La Seconda guerra mondiale è stata scatenata non solo da Hitler, ma anche da Stalin. E questo fatto oggettivo ha conseguenze interpretative. Tuttavia, il dato storico inoppugnabile non è diventato coscienza comune. Non si è riconosciuto perciò “che questi due regimi – nonostante le differenze ideologiche – sono stati simili per la portata dei loro crimini”.
Memorial, inoltre, deve proprio a Račinskij il prezioso database sulle vittime del Terrore. Lo studioso ha creato con il suo gruppo di lavoro un ulteriore database in cui sono presenti i nominativi degli agenti della polizia politica alla diretta dipendenza degli Interni, durante il periodo del Terrore. Informazioni preziose raccolte con perizia e capacità, per arrivare alla ricostruzione completa del calvario subìto dagli innocenti. Il coraggioso studioso, infine, durante il discorso per la consegna del Premio Nobel per la pace a Memorial del 10 dicembre 2022, ha condannato, pubblicamente, l’invasione dell’Ucraina con parole forti e nette.
Aleksandr Gur’janov, infine, ha scritto otto anni fa il libro Uccisi a Katyn’. Un volume imponente e documentato di oltre mille pagine. Uno studio che distrugge per sempre le menzogne sull’eccidio dell’élite polacca. Un grave crimine di guerra negato e falsificato dalla propaganda sovietica. Nelle pubblicazioni dello storico sono presenti le foto delle vittime polacche. Erano uomini veri, persone in carne e ossa, non numeri a disposizione del mostro totalitario. I loro nomi, grazie a Gur’janov, vivono ora in una memoria consegnata anche alla storia russa. Essi incidono un graffio spirituale nel cuore dei regimi tirannici di ogni tempo. E la drammaticità delle loro storie, ricostruita da un atto potente di pietà e di verità, colpisce e interpella tutti sull’oggi.
Lo scrittore sottolinea con le storie degli uomini e delle donne di Memorial il significato dell’associazione: una compagnia al lavoro per la verità e al servizio del bene comune. Un gruppo eterogeneo di intellettuali, differenti nello stile e nelle idee, che ha ospitato fino a quando è stato possibile studiosi, volontari, studenti assetati di conoscenza certa. Un’umanità vivente pronta a condividere dati e ricerche davanti a un tè o pronta a recarsi insieme in un luogo, per trovare nuove storie drammatiche da cui farsi ferire.
In sintesi, il lavoro di Belenkin trasmette un’energia immensa. Contagia emotivamente chi lo legge. Ci comunica qualcosa di decisivo e definitivo: valido soprattutto ora. Si tratta di un messaggio che scuote nel profondo. L’uomo autentico ha un tale desiderio di libertà e di verità storica che nessun potere autocratico e nessuna legge speciale potranno mai fermare.
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