Che cosa inseguono le persone che vanno in montagna? Che attrazione subiscono per esserne così conquistate fino, in non pochi casi, a fare diventare quella passione un pensiero fisso, un amore che non smette di palpitare?
I libri di montagna raccontano e alimentano quella foga strana e li si va a cercare sperando di riassaporare sensazioni ed emozioni estreme. Si, ecco, c’è qualcosa di estremo in chi ama e vive la montagna. E perché? Qualcosa che entra dentro e non si estirpa, nemmeno dopo decine e decine di volte che si ripete la stessa cresta, lo stesso bosco, lo stesso sentiero.
Due bei libri di montagna, completamente diversi, Bianco di Sylvain Tesson (Sellerio, 2023) è un’immersione scialpinistica figlia di un’attraversata delle Alpi effettuata in quattro inverni: dei tantissimi libri del genere, ho trovato per la prima volta una profonda capacità di riflessione dell’atto che si sta compiendo con riferimenti culturali mai banali: “l’alpinista è un uomo in fuga. Scalpita per raggiungere la cima, una volta arrivato si lancia nella discesa, e dabbasso sogna di risalire. E avanza insoddisfatto, cercando più lontano quel che mai otterrà. È un essere inquieto, alla ricerca perpetua, uno di noi, un banale fratello (…) in Pascal trovai queste frasi sulla nostra miseria eterna: per noi nulla si ferma, desideriamo ardentemente di trovare un assetto stabile, ma ogni nostro fondamento si squarcia”.
Il secondo è il “classico” primo libro di una giovane guida alpina torinese: Fragile come la roccia (Sperling & Kupfer 2023) ed in apparenza, dopo le prime venti pagine lo avevo già catalogato nella categoria (pur apprezzata, ma fin troppo nota) della storia di una passione esplosiva per l’arrampicata, gli anni in falesia, il salto all’outdoor, la scoperta delle grandi pareti nord delle Alpi, le vie sempre più difficili e poi le grandi e celebrate performance. E invece no, pur essendoci necessariamente parte del consueto (e atteso) repertorio, Federica Mingolla non si celebra né si compiace, al contrario: si mette a nudo, toglie anziché accumulare, mostra esplicitamente anziché lasciar intendere chissà cosa. Ed emerge la statura di una donna che da adolescente sfiora la depressione e forse l’anoressia, non tace il dolore per un tradimento cattivo (pagine letterariamente bellissime), entra fino al midollo della sofferenza quando (certo in montagna) muore il suo migliore amico, quello che l’ha semplicemente amata, abbracciata e sostenuta sempre: “ottocento metri di calcare verticale che prima di allora nessuna donna era mai riuscita a chiudere in libera, e in giornata. E in cuor mio so che se ci sono riuscita è solo perché lui mi ha sempre spronato a farlo. Ancora una volta: perché lui ci credeva più di quanto ci credessi io. Perché lui mi guardava. E mi diceva: ce la fai. Ecco, forse è questo il punto: a volte ci serve soltanto qualcuno che ci guardi. Che ci guardi nel modo giusto”.
Rimane aperto l’enigma: cosa ci troviamo in queste benedette montagne?
Tante cose insieme, azzardo. L’avventura, l’aria aperta, il vento, viste mozzafiato, ma anche fatica, tanta fatica come se quei passi, quel scivolare dello sci, quel braccio che si inarca per aggrapparsi all’appiglio, tutti questi movimenti intrisi di armonica muscolarità implicano energie (talvolta fino allo sfinimento) e questo è una porzione del mosaico che restituisce quella Gioia indescrivibile insieme al contatto, alla fisicità al poggiare piedi e mani su roccia, neve, ghiaccio e terra semplicemente creati.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.