Ci sono opere insolite, imprevedibili, da cui scaturisce una conoscenza dell’animo umano in un modo che non ti aspetti. Come nei due romanzi d’amore di Dino Buzzati e Graham Greene. Un amore – va detto subito –  ossessivo e possessivo, al limite della violenza, destinato ben presto a finire. In entrambi si narra di una coppia irregolare e clandestina: in quello di Dino Buzzati, Un amore, la protagonista femminile è una prostituta appena ventenne, di cui si innamora perdutamente Antonio, un architetto piuttosto attempato, grigio e senza guizzi, che l’ha conosciuta in una casa di appuntamenti. Travolto dalla passione, si lancia in un’avventura assurda. Accecato dalla gelosia egli crede, contro ogni evidenza, che il suo sentimento possa far breccia nel cuore della giovanissima Leida e desidera disperatamente legarla a sé in modo esclusivo. Per raggiungere lo scopo fa di tutto ma inutilmente. Proprio per preservare la sua rispettabilità borghese, il suo essere così apparentemente “per bene” egli non può certo prendere la ragazza come propria compagna né farla sua moglie, per cui neppure Leida chiaramente è disposta a rinunciare alla sua vita, e finisce per costruire una rete di inganni, di trucchi, di bugie per conservarsi comunque i vantaggi, economici e non solo, di cui gode grazie alla relazione con il devoto Antonio.



Nel romanzo Fine di una storia di Graham Greene la protagonista è Sarah, giovane moglie di un pubblico funzionario metodico, pedante, poco espansivo, che solo molto più tardi sospetterà di essere stato tradito. La donna infatti ha intrecciato una relazione con Maurice, un brillante e quotato scrittore, ed è proprio quest’ultimo a narrarci la storia. L’autore qui ci mette di fronte a un giallo: perché Sarah decide ad un certo punto di abbandonare l’amato Maurice? I due uomini, il marito e l’amante, rosi dalla gelosia, ma prima ancora dal senso di insoddisfazione e di vuoto, sospettano la presenza di una (nuova) relazione e per questo arrivano perfino a rivolgersi ad un detective. La risposta arriva al centro del libro, in cui viene inserito il diario di Sarah, felice scelta narrativa che permette al lettore di scoprire il tormento interiore della donna, combattuta tra l’amore umano e l’amore per Dio, al quale lei si è arresa in una circostanza di grande drammaticità. 



Un amore è uscito nel 1963. La trama ha sullo sfondo la Milano del primo boom economico, città ancora a misura d’uomo, con le sue piazzette, i suoi vicoli, ma destinata a diventare una grande metropoli europea, così come nel film che al libro si ispira e che apparirà due anni dopo. La conclusione dell’autore qui è amara: l’amore diventa una malattia, capace di portare alla disperazione e all’infelicità. Il protagonista è solo, si scopre solo e nessuno può comprendere le sue emozioni in una società dominata dall’ipocrisia e in cui nessuno ti offre una via d’uscita.

Fine di una storia è stato pubblicato nel 1951. Ambientato nella Londra degli anni Quaranta, in una città gravemente ferita dai bombardamenti di Hitler, ha avuto diverse trasposizioni cinematografiche fino ad anni recenti, riscuotendo un notevole successo presso il grande pubblico.



Come Un amore non è di sicuro l’opera migliore – anche se molto apprezzata – di Dino Buzzati, neppure Fine di una storia è il miglior romanzo di Graham Green e tra l’altro la traduzione italiana (Mondadori, 1953) risulta un po’ appesantita da taluni arcaicismi lessicali. Il posto d’onore nella produzione del famoso narratore inglese viene riconosciuto unanimemente a Il potere e la gloria del 1940. Eppure ci sono in questo libro diversi motivi di interesse.

Innanzi tutto Greene, uno dei non pochi intellettuali inglesi che si sono convertiti al cattolicesimo nel XX secolo, sceglie di introdurre come tema centrale della vicenda quello della fede, o per meglio dire “dell’impossibilità di non credere”. Egli mostra la presenza del divino nelle vicende umane, tanto che all’azione della Sarah convertita vengono attribuiti perfino dei fatti miracolosi, tuttavia tale presenza non elimina l’inquietudine dell’uomo, perché gli uomini continuano ad essere peccatori, pur quando ne avvertono la lacerante consapevolezza, cosa da cui scaturisce prepotente la coscienza della loro fragilità. Lo sguardo di Greene nei confronti dei suoi personaggi non è carico però di amarezza; al contrario è un atteggiamento di grande tolleranza e pietà, sostenuto dalla fede nel perdono e dalla convinzione dell’infinità della misericordia divina.