Con decine di altri colleghi e centinaia di studenti di tutta Italia, sto provando ad avvicinarmi ad un grande della letteratura italiana del Novecento: Dino Buzzati (è questo l’autore messo a tema dalla XXI edizione dei Colloqui Fiorentini, il concorso nazionale per le scuole superiori più coinvolgente e appassionante che esista in Italia). E quello che mi colpisce, come sempre del resto quando si leggono i classici della letteratura, è la carica di profezia che i suoi scritti contengono.



Non parlerò dei temi tipici e più conosciuti di questo autore, ma della sua estrema attualità che ho rinvenuto in una breve prosa dal titolo “Un deplorevole malinteso”, contenuta nel volume In quel preciso momento. Vi si parla di noi, oggi, alle prese con la pandemia. Basterà ascoltarlo.

Buzzati inizia con una dichiarazione burocratica, ministeriale (viene da pensare al lockdown o al decreto green pass): “A evitare malintesi sia ben chiaro che il maggior aggravio di pene contemplato dal presente regolamento non influisce in alcun modo sulle punizioni preesistenti, le quali restano pertanto in pieno vigore”. Insomma, c’è un male che si aggiunge ad altri mali che restano tutti sul tavolo, non ci si dovrebbe illudere, niente malintesi dunque. Eppure, aggiunge subito dopo, “l’attuale castigo di Dio – così nuovo e potente – appassiona il popolo, come è naturale, oramai non si pensa ad altro. Le famiglie vanno a gara nel prepararsi” (si osservano le regole, ci si chiude in casa, si corre al vaccino, più o meno costretti…).



Il male nuovo e potente che appassiona tutti (i media e i talk show non parlano d’altro) provoca un riflesso condizionato: “Tutti pretendono ad ogni costo di superare la prova e di riacquistare la serenità prima ancora che il pericolo sia finito”. Ditemi se non è un’istantanea di noi oggi, con quel bisogno di normalità che prevale su tutto. E allora? “Meraviglia! In pochi mesi i bravi cittadini sono riusciti ad armarsi, uno si è fortificato la casa, un altro il cuore, ora sorridono pressoché come prima, hanno ripreso almeno in parte le vecchie abitudini”. Sì, indubitabilmente siamo proprio noi, immunizzati, sorridenti e leggeri, “almeno in parte” di nuovo liberi di tornare alla vecchia vita!



Tutto ciò è positivo, dice Buzzati, ci fa molto onore. Ma qual è il rischio? “Hanno speso ogni risorsa, però sono giunti al limite, per questo solo nemico hanno sprecato ogni difesa; lo trattengono, è vero, lo controbilanciano efficacemente. Ma per gli altri nemici che cosa rimane?”. Il “grande nemico” non cancella l’esistenza degli altri vari nemici che incombono: altre malattie, depressione psicologica ed economica, fallimenti, perdita di lavoro, crisi… Per debellare un nemico, si sta toccando il limite.

E Buzzati diventa narrativo e racconta la storia di un certo Leopoldo, “uno dei primi ad apprestarsi contro il flagello”, che fino a poco fa “si vedeva girare spavaldo”; ma ora si è beccato un altro male e sta a letto in fin di vita. “Chi ci pensava più? I mali di prima sussistono anche se ne è arrivato uno nuovo e molto maggiore”. E non si tratta solo di malattie. Buzzati accenna a un certo Stazio che, avendo barato al gioco ed essendo stato svergognato in pubblico, si è suicidato; poi a un certo Marco, che è rimasto solo e povero perché sua moglie se ne è andata con tutti i gioielli, “rapita” da un saltimbanco. Noi potremmo aggiungere alla lista molti altri casi disperati, a volte in qualche modo provocati dai rimedi stessi messi in campo per sconfiggere il “grande nemico”.

Ma torniamo a Leopoldo: morirà? “Possibile che sia stato colto a tradimento proprio quando, a costo di fatiche immense, cominciava a ritenersi al sicuro?”. E poi c’è Giuseppe cui è spuntata una piaga sotto il piede e non cammina più. E Gregorio, il cui granaio ha preso fuoco e che dovrà affrontare un probabile processo…

La conclusione: “Però tutti si sono preparati a sostenere la prova, chi in un modo chi in altro hanno trovato il rimedio. Valeva la pena? Non riusciranno a morire lo stesso?”.

Si potrebbe obiettare a Buzzati: “E allora? Cosa volevi dirci? Che si dovrebbe fare?”. Non so che reazioni abbia provocato questo suo scritto a suo tempo. Oggi probabilmente sarebbe giudicato come la riflessione in fondo inutile, disimpegnata e “depressiva” di uno che ha la testa sulle nuvole, e, nel clamore dei notiziari che sciorinano cifre ogni giorno, il breve scritto non sarebbe degnato della minima attenzione. Ma c’è un problema: il fatto che queste righe riusciamo a capirle, se e quando le confrontiamo con la nostra esperienza, vuol dire che toccano qualcosa che a che vedere con la verità.

Buzzati vola alto e cerca di guardare più in là, in quel fondo misterioso e doloroso, in quella contraddizione ineliminabile e senza rimedio nella condizione umana di cui troppo spesso ci si dimentica. Mi sembra che il suo sia un richiamo a prestare attenzione a tutti i fattori in gioco, a non ridurre ad una fetta della realtà qualcosa che è molto più complesso. “Evitiamo malintesi”, ci dice, e poi ci butta in faccia due domande difficili, che ci spiazzano o ci urticano, ma che dovrebbero sempre starci davanti. Come tutte le domande, del resto, che ci vengono dal messaggio profetico del genio e che cerchiamo accuratamente di evitare.

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