Alle 11 della sua mattina dopo Mario Calabresi è in un negozio di fiori, a Madrid. Sono per la moglie di un caro amico, Roberto Toscano, ambasciatore di lungo corso. A quell’ora, per tre anni, ha avuto un appuntamento fisso, quello con la riunione di redazione a Repubblica, essendone il direttore. Che fosse in sede oppure in trasferta, non lo mancava mai, “anche alle 2 di notte se mi trovavo in qualche parte del mondo”. Adesso, quell’incontro di giornata non è più cosa per lui: “licenziato in tronco”, come gli ha detto in una diretta televisiva – senza girarci troppo intorno – l’algida Lilli Gruber. Una frase gelida, eppur vera. “Io ho abbozzato, però ce l’ho qui”.
Dell’esperienza della mattina dopo un fatto così traumatico e di altre mattine dopo vissute da persone normali, anonime, “a me più che la storia interessano le storie di persone”, Calabresi ne ha fatto un libro per i tipi di Mondadori. In una assai partecipata serata al Centro Culturale di Milano – martedì 8 ottobre scorso, prima presentazione in città, nella sua città – in dialogo con il collega e amico Marco Bardazzi, ha raccontato di quel momento cruciale, umanamente impegnativo, con cui necessariamente dover fare i conti: “occorre farsene una ragione perché quando una cosa accade è accaduta”.
La mattina dopo è anche il tempo degli Aulin perché fa male quello strappo e non ha senso fingere anche se per un po’ si prova a recitare; la mattina dopo non arrivano più mail e il cellulare si fa muto. Il tempo è ora scandito da un ritmo diverso, non c’è più l’adrenalina dell’istante. “Per me è incominciata l’esperienza della riscoperta del tempo lento. Ho preso a frequentare gli archivi, luoghi pieni di vita, per ordinare e arricchire le storie che hanno a che fare con le vicende della mia famiglia e che sono presenti nel libro. Un ritorno alle mie radici, un’esperienza curativa”. Calabresi racconta della nonna, del pozzo senza fondo di vicende minute che, magari, faranno parte di un altro libro.
La lentezza per forza di cose scoperta gli ha permesso di fare un lavoro di scavo affascinante e sorprendente. Su di sé, prima di tutto; sugli affetti più cari, sulle persone che, come lui, hanno vissuto la frattura della mattina dopo e come hanno ripreso nella inevitabile ripresa. “Da Daniela, che non cammina più per un incidente, ho appreso che la cosa fondamentale della mattina dopo è quella di reagire, di fare pace con quello che è successo. E di rendersi conto che si può sempre ripartire senza abbandonare le cose belle che si facevano prima, come l’uscita con le amiche, il cinema, la birra artigianale nella birreria preferita”.
L’ultimo capitolo è una mattina dopo lunga 47 anni. Mario Calabresi parla dell’incontro a Parigi con l’uomo che ha organizzato l’assassinio di suo papà, il commissario della Questura di Milano Luigi Calabresi. “Mia madre mi ha chiesto che cosa mi aspettavo da quell’incontro, me lo ha domandato più volte. Poi mi ha detto di dirgli che lei ha perdonato e che vuole vivere in pace il tempo che le rimane. Naturalmente, ho riferito. Il Giorgio Pietrostefani che ho incontrato è un uomo molto malato, con un trapianto di fegato, spessissimo in ospedale per operazioni”. Calabresi confessa che nella prima bozza non aveva inserito la parola perdono affidatagli da sua madre per Pietrostefani. Quando lei lo ha scoperto durante la lettura delle bozze gliel’ha fatto notare, “se ritieni di non metterla togli tutto, ci ho messo 47 anni per arrivare a questo. Allora ho chiamato in Mondadori per inserire la frase secondo la volontà di mia mamma”.
Le storie che Calabresi ha selezionato per questo libro sono il frutto di incontri, non fugaci, che si sono presi il tempo dilatato che meritavano per trovare quel che sta sotto la superficie, “il cosa è successo dopo”. Come la storia di quel medico siciliano, sopravvissuto all’incidente aereo mentre era in volo per una missione umanitaria in Africa. Ne avevano parlato i telegiornali, Calabresi gli ha chiesto di dedicargli una giornata. Così è stato, tra Aci Castello e Aci Trezza. Parole e silenzi. Domande anche ripetute nello scandire delle ore. “Alla sera, quel che ancora non aveva detto”. Pensieri che erano ben presenti, seppur nascosti, preziosa esperienza per il giorno dopo.
L’ora e passa è filata via così. Un racconto molto sincero, personale, dove ciascuno ha potuto trattenere. Perché, la mattina dopo non è un qualcosa che riguarda solo gli altri, ma anche noi stessi. “Una cosa l’ho imparata da bambino, che se i rovesci si impara ad accettarli e si ha pazienza di alzare lo sguardo, allora diventano vere le parole di Leonard Cohen: ‘In ogni cosa c’è una crepa, è da lì che passa la luce’. Che è un po’ come uscire a riveder le stelle…”.