Un po’ ingannevole è il titolo dell’ultimo bel libro di Enrico Camanni, La montagna sacra, appena pubblicato da Laterza. Certo, il punto di partenza è la proposta, che circola senza molto successo da qualche anno, di rendere sacra, inviolabile e non più calpestabile dagli umani una cima bella ma secondaria del Parco del Gran Paradiso, il Monveso di Forzo, a cavallo tra il vallone valdostano di Valeille e quello piemontese di Forzo. Come alcune celebri montagne sacre tibetane e indiane, vietate da sempre alla pratica alpinistica per non recare offesa alle divinità induiste o buddhiste colà residenti. Ma, appunto, là si tratta di una sacralità secolare se non millenaria, mentre sulle nostre Alpi occidentali sarebbe un’imposizione recentissima e artificiosa. Con un fine nobile, è vero, quello di fissare simbolicamente un limite allo sfruttamento che l’uomo europeo non cessa di condurre sulle nostre montagne. Tuttavia, introdurre questo divieto sacrale diventerebbe proprio una forzatura.
Nemmeno le innumerevoli croci di vetta (al centro l’anno scorso di un’assurda polemica su una loro eliminazione, per fortuna svanita presto nel nulla) sono state molto più un simbolo di conquista che un segno di sacralità delle cime. Walter Bonatti che nell’inverno del 1965 abbraccia stremato la croce del Cervino dopo la sua memorabile impresa solitaria ci ricorda proprio il valore umano di una conquista.
E qui veniamo al vero centro del libro, che è un inno appassionato per salvare la montagna che sta morendo a causa dell’inesorabile cambiamento del clima e di decenni di investimenti sbagliati. Camanni ironizza su come nel boom cementificatorio della nascente lussuosa Cervinia ci si poteva imbattere nelle sue strade in Von Karajan, Fermi, Einstein. E come tra i primi passeggeri della funivia che attraversò il Monte Bianco si segnalassero Brigitte Bardot e Vittorio Gassman. Le montagne sacre sono ben altro che una passerella per vip. È quella, ad esempio, che raffigurò Salvador Dalí quando, invitato a dipingere il Cervino, lo fece con un angelo che volava sulla piramide assolata e, in basso, il piccolo gobbo Luc Meynet, uno dei protagonisti a metà Ottocento dei primi tentativi di arrivare in cima. O quando è Camanni stesso a vedere dal ghiacciaio del Lys due gipeti in volo d’amore contro le pareti del Monte Rosa. Così è anche la mia piccola montagna sacra: in un mezzogiorno assolato dello scorso marzo, con binocolo e cannocchiale guardavamo emozionati due aquile reali che si accoppiavano proprio sulla Cima Occidentale dell’Auta, a pochi metri dalla luminosa croce di vetta.
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