Sono appena trascorse le celebrazioni per il 70° anniversario dell’approvazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, documento firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, che rappresenta una pietra miliare nella storia della civiltà. Esso a buon diritto deve ritenersi come uno dei frutti più importanti della recente storia dell’umanità, se non altro per la novità che esso rappresenta nella coscienza dei popoli. Come è stato infatti autorevolmente osservato da Sabino Cassese, “per la prima volta, gli individui non furono più considerati sul piano internazionale solo come membri appartenenti ad un gruppo, ad una minoranza, oppure ad altre categorie. Essi divennero oggetto di protezione in quanto individui”.



A partire da ciò “Linea Tempo”, nel suo ultimo numero (20/2019) dal titolo Il cammino dei diritti umani e le sfide del presente, evitando ogni retorica, ha voluto ripensare il tema dei diritti umani, il loro sviluppo e la loro tenuta in un tempo come il nostro segnato dal cambiamento d’epoca.

Il dossier si presenta ricchissimo, grazie soprattutto al contributo di eminenti studiosi e personalità del mondo della cultura e delle istituzioni laiche ed ecclesiali che permettono di cogliere pienamente la portata di una sfida globale.



Nell’epoca del postmodernismo che attraversa soprattutto l’Occidente, la sfida più grande è oggi rappresentata dall’incapacità all’interno di una società plurale di assicurare quell’ethos universale condiviso che ha costituito il retroterra culturale su cui sono stati concepiti i diritti umani. In ciò si assiste al fallimento della pretesa illuministica di garantire sulla base di una ragione autoreferenziale una morale a sostegno dei diritti universali.

Vittorio Possenti nel suo articolo dal titolo Diritti, pretese, doveri sottolinea come proprio la perdita della coscienza del bene comune, a causa dell’individuo autocentrato, mette in crisi l’idea stessa di diritto. È questa, a suo avviso, “la lacuna spirituale e civile forse maggiore in Occidente”, di modo che “il (preteso) diritto separato dalla responsabilità ad esso inerente, diventa fattore di disgregazione e non di rado un’arma puntata contro l’altro”.



Una corretta ermeneutica dei diritti richiede oggi, pertanto, la messa in discussione del paradigma libertario di matrice soggettivistica che sta provocando un’inflazione inarrestabile dei diritti, al punto che secondo alcuni siamo entrati nell’età dei “diritti insaziabili”, disarticolando così il tessuto etico e civile.

Lo stesso Luciano Violante, nell’intervista che ci ha rilasciato, ha ribadito l’imprescindibilità del nesso diritto/dovere, ovvero la necessità di coniugare i diritti del singolo con quelli della comunità: “oggi c’è uno straordinario bisogno di ricostruire comunità, soprattutto comunità politiche. Perciò è necessario riprendere nelle nostre mani la teoria e la pratica dei doveri”.

Da questo punto di vista, il reinserimento dell’educazione civica approvato dal Parlamento italiano con voto quasi unanime la scorsa estate può costituire un importante punto di partenza per riguadagnare il senso di una piena convivenza civile. Non a caso, Andrea Caspani ha dedicato a questo provvedimento grande attenzione, sottolineando i termini di una sfida antropologica messa in luce dal fallimento della politica liberale multiculturale che considera le culture “come sovrastrutture da relativizzare e da ricostruire continuamente nell’interscambio tra soggetti, individui e gruppi che scelgono di volta in volta cosa essere e come essere”. Una vera educazione alla cittadinanza deve perciò sfidare l’individualismo dominante con la connessa insensibilità e indifferenza verso il bene comune.

Ed è qui che la tradizione cristiana con il suo sguardo integrale sulla natura umana conserva una sua originalità ed è chiamata a esprimere la sua vocazione culturale, l’essere ciò fattore essenziale di sviluppo umano, e a far perciò sentire con vigore la sua voce per la fecondità stessa dei diritti.

Le grandi sfide sempre più globali, come il problema della pace e degli armamenti nucleari, l’esaurimento delle risorse e l’ecologia, richiedono infatti una grande assunzione di responsabilità personale e collettiva: compito al quale la Chiesa non si è sottratta. In particolare rispetto alla custodia del creato, attraverso i documenti e le encicliche di papa Francesco, la Chiesa, come ha sottolineato monsignor Filippo Santoro nella sua intervista, vuole richiamare l’attenzione su problematiche non meramente “verdi”, ma “sociali”, in quanto volte a una vera sostenibilità ambientale e sociale. Per questo il Papa nel Sinodo sull’Amazzonia appena terminato ha parlato di conversione a vari livelli e in dimensioni interconnesse: “pastorale, culturale, ecologica e sinodale”.

Temi ripresi con vigore nell’ultima raccolta di testi dal titolo Nostra madre terra, in cui, come sottolinea Mario Gargantini nella sua brillante recensione, non ci “si limita a rilanciare allarmi sulla condizione ambientale del nostro pianeta, ma [si] porta[no] contributi alla costruzione di una mentalità nuova, sollecitando tutti ad allargare lo sguardo e a compiere passi concreti e spediti perché la prospettiva di una ecologia integrale si traduca in gesti, decisioni, azioni”.

Questi temi costituiscono un nuovo terreno di sfida per le istituzioni europee, che a tutt’oggi rappresentano nell’intero panorama internazionale il tentativo più ambizioso e meglio riuscito per la tutela dei diritti a livello sovranazionale. Tutela alla quale la Ue è arrivata dopo un lungo cammino, puntualmente ricostruito nel dossier da Angela Scerbo, nel corso del quale da organizzazione economica, prettamente incentrata sull’integrazione dei mercati e sullo sviluppo di un’unione monetaria, la Comunità europea è giunta a concepirsi come “un organismo sovranazionale il cui scopo primario è rappresentato dalla tutela dei diritti fondamentali dei cittadini europei”.

La storia, nella sua funzione di maestra, ci insegna a guardare con ottimismo alle sfide del presente. Proprio il Novecento, del resto, ci testimonia che le violazioni dei diritti umani non sono mai state l’ultima parola; anzi esse, come nel caso del genocidio armeno (Antonella Ricci) o di Auschwitz (Giampaolo Pignatari), hanno costituito l’occasione per una nuova presa di coscienza volta a riaffermare la dignità della persona umana. Un cammino che tuttavia è lungi dall’essersi concluso, come testimonia la vicenda di Hong Kong, raccontata da Bernardo Cervellera, direttore di “Asia News”.