Esistono storie di vita vera e vita reale; storie di dominazioni, usurpatrici e demolitrici; storie di riscatto e potere; storie che si intrecciano inevitabilmente tra di loro, che si legano alla fantasia e goliardia dello scrittore e solo quando la penna inizia a macchiare di nero la carta, è in quel momento che inizia lo spettacolo.
Il re di Girgenti (Sellerio, 2001) di Andrea Camilleri non è nient’altro che questo: uno spettacolo in teatro che lascia stupiti, divertiti, arrabbiati, a tratti senza fiato e con dubbi e domande.
Attraverso i racconti sulla famiglia Zosimo ci si ritrova nella Sicilia di fine seicento: la terra degli spagnoli, del malgoverno, della povertà e della carestia. Una terra di gente umile, di fedeli e credenti; una terra spesso superstiziosa e legata alla tradizione. Terra travagliata da terremoti e pestilenze, da sofferenze e precarietà.
È una storia dal carattere mistico che si intreccia con il buffo: il protagonista è Gisuè, umile bracciante di Montelusa che si ritrova ad assecondare il desiderio di morte di un giovane duca spagnolo ormai senza denaro e coraggio. Un omicidio per soli cento onze.
È il racconto della giustizia amministrata da viceré e capitani: “Volete asistir all’interrogatorio del prisonero? Spiò con un sorrisino don Sebastiano che gia s’aspittava la risposta. ‘Ma no’ fece il Capitano di Giustizia pronto a lavarsi le mano cento volte più di Pilato. ‘Mi rimetto alla vostra equità’”.
È una storia fatta di tradimenti e infedeltà, di raggiri e cospirazioni, di astuzia e coraggio.
È la narrazione di come si diventava re nella Sicilia del tempo, tramite premonizioni e racconti magici: “una sola cosa, ma non dirlo a nisciuno, manco a tò partre, a tò matre, a tò frati. Sulla tua testa c’è una corona”.
È la storia di Zosimo, bambino prodigio che mangia pane e sarda: “Gisuè gli desi il pane e il picciliddro s’arricreò, si spaccò la faccia in un sorriso di contentezza”.
È il racconto di una terra che soffre a causa della siccità: “‘Io chiangio perché sento la terra patire e lamentiarsi’. ‘Io non sento manco un acceddro’ disse Gisuè. ‘Appunto’ disse Zosimo ‘questo silenzio granni è la sua voci di lamento’”.
È un racconto intricato, carico di vicende, pieno di personaggi, colmo di sensazioni e cambiamenti.
Camilleri, con uno stile a tratti comico, a tratti tragico, ci fa immergere in un contesto che a primo impatto appare paradossale e lontano da noi, ma che nel tempo si comprende e quasi ci si immedesima. Ci racconta di una Sicilia travagliata dalle contraddizioni, della vita fatta di stenti ma anche di piccole cose, quelle quotidiane, quelle genuine, quelle che sanno di casa e famiglia.
E forse il destino non sarà favorevole al re di Girgenti, ma ciò che di più della lettura si conserva sono le ferite di una terra mal governata, abbandonata a sé stessa, che con difficoltà si è rialzata e ha conservato i suoi colori, la gioia della sua gente e la speranza di cambiamento non solo nella Girgenti di Zosimo ma anche nella semplice e cruda realtà.
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