Negli ultimi anni l’espressione “recessione democratica”, coniata dal politologo americano Larry Diamond, ha fatto molto discutere: dopo decenni in cui la democrazia sembrava avanzare ovunque, in una inarrestabile marcia trionfale, è iniziata una crisi che si è protratta nel tempo e che oggi assume, per durata e profondità, i tratti di una vera recessione. La crisi della democrazia è al centro del dibattito pubblico in molti paesi e le forze politiche sono alla ricerca di soluzioni istituzionali che possano colmare il duplice deficit di governabilità e rappresentatività. In Italia, per esempio, fa discutere il disegno di legge presentato dalla maggioranza di introdurre una forma di premierato per rafforzare la rappresentatività democratica e il potere decisionale del governo.
Al di là degli aspetti tecnici, che pure sono fondamentali, nel dibattito pubblico sembra latitare, o restare in ombra, una domanda ugualmente essenziale: qual è il valore della democrazia?
In questa nota vorrei portare un piccolo contributo riscoprendo una tradizione, quella cattolica, che è stata a lungo tacciata di antimodernismo proprio per la ritrosia ad accettare, incondizionatamente, la democrazia. In effetti, nell’enciclica Immortale Dei del 1885 Leone XIII aveva affermato che la Chiesa considera ugualmente legittime diverse forme di governo, inclusa la democrazia, e cioè il governo del popolo stesso, che però non è la forma esclusiva o prediletta. Pochi anni dopo, nel 1897, Giuseppe Toniolo, sicuramente l’economista più influente nel mondo cattolico del tempo, lo aveva esplorato in un lungo e denso saggio, Il concetto cristiano della democrazia. Mutuando categorie aristoteliche, Toniolo distingue tra sostanza e accidente. La democrazia, nel suo significato sostanziale o essenziale e quindi stabile o permanente, è un governo per il popolo e in particolare per le classi più deboli. Nel suo significato accidentale e quindi mutevole nel tempo e nello spazio è un governo del popolo e tendenzialmente di tutto il popolo. Una vera o piena democrazia è un governo del popolo e per il popolo.
Con questa distinzione, Toniolo, e con lui i cattolici italiani, intendevano evidenziare i presupposti e i potenziali paradossi della democrazia. Non sempre (o quasi mai) il popolo era pronto ad autogovernarsi ed era compito delle classi dirigenti creare le condizioni propizie. Inoltre, potevano esserci governi del popolo che non operavano per il popolo. Per esempio, la monarchia assoluta di Luigi IX, il Re Santo, era, secondo Toniolo, più democratica della repubblica di Cromwell, il despota che opprimeva il popolo in suo nome.
Nel corso del Novecento si sono confrontate, all’interno del mondo cattolico, (almeno) due grandi tradizioni di pensiero democratico. La prima è quella di Giuseppe Capograssi che, nel 1922 (centouno anni fa) pubblicava un volumetto significativamente intitolato La nuova democrazia diretta. Capograssi vede e annuncia la crisi della vecchia democrazia rappresentativa e l’avvento di una nuova democrazia diretta. La Rivoluzione francese, abolendo le comunità intermedie, aveva reso possibile solo la democrazia parlamentare rappresentativa. Come avrebbero potuto milioni di individui partecipare alle deliberazioni collettive se non eleggendo un’assemblea di delegati? Ma la rinascita spontanea delle comunità intermedie, inclusi partiti e sindacati, aveva messo in crisi, secondo Capograssi, il tradizionale modello della democrazia rappresentativa parlamentare. Da un lato, le forze sociali e locali rivendicavano maggiore autonomia decisionale. Dall’altro, il governo stesso reclamava per sé un maggior potere esecutivo. Capograssi vede e descrive un duplice movimento di accentramento dell’autorità nell’esecutivo, in virtù di un rapporto diretto con l’elettorato, e di decentramento dell’autorità dal Parlamento verso le forze sociali e locali. Ecco la nuova democrazia diretta: il popolo esercita la propria sovranità direttamente attraverso l’autogoverno delle rinate comunità intermedie e con un rapporto fiduciario con l’Esecutivo, mentre il Parlamento vede ridursi il ruolo centrale che aveva acquisito nel tempo della democrazia rappresentativa.
Nello stesso Novecento, Costantino Mortati è forse il più tenace e profondo interprete di una linea di pensiero che, si potrebbe dire, mirava a costruire una nuova democrazia rappresentativa. L’analisi è in tutto simile a quella di Capograssi, con la responsabilità storica attribuita alla Rivoluzione francese di aver distrutto le comunità intermedie rendendo possibile la sola democrazia rappresentativa di milioni di individui isolati. Ma Mortati mirava a disegnare una nuova forma di democrazia rappresentativa riconoscendo una rappresentanza parlamentare anche ai gruppi sociali ed economici operanti nella società. In Assemblea Costituente presentò un progetto, a lungo discusso, che rendeva il Senato della Repubblica una seconda camera, eletta su base regionale, con collegi formati, per metà, in base all’appartenenza dei cittadini ad una serie di categorie professionali. L’intento immediato era quello di costringere i rappresentanti dei gruppi sociali a conciliare, non nel buio di qualche corridoio ma alla luce del sole delle aule parlamentari, i legittimi interessi di parte con il superiore interesse generale. Il fine ultimo era quello di rafforzare la rappresentatività del Parlamento chiamato ad esercitare la sovranità di un popolo composto non solo di individui isolati ma anche di gruppi sociali.
Il progetto di Mortati fu respinto così come restò un ideale il progetto di Capograssi. Eppure la loro comune idea di una nuova democrazia (diretta o rappresentativa) fondata sulle rifiorite comunità intermedie fu recepita dai costituenti e si ritrova inscritta nel fondamentale articolo 2 della Costituzione laddove si legge: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità …”.
Ecco il valore della nuova e vera democrazia: la partecipazione alla vita delle comunità in cui si svolge, si compie, la personalità di ciascuno. La democrazia è, innanzitutto, partecipazione: partecipazione dei genitori all’educazione dei figli, alla gestione della scuola, alla vita della comunità locale, al bene comune del Paese e della comunità internazionale. La democrazia è la forma di governo che maggiormente esige e promuove la partecipazione di ognuno. Una democrazia che sminuisce o riduce il valore della partecipazione non è vera democrazia.
Chiediamoci: in questi anni chi ha scelto i parlamentari? Chi ha scelto i segretari dei partiti? Quali organi hanno assunto, democraticamente, le decisioni più importanti all’interno dei partiti o delle istituzioni? Oggi si discute di premierato. Chiediamoci: vogliamo un popolo seduto sul divano che col telecomando promuove o boccia il premier ogni cinque anni? E chi sceglie i candidati premier? Perché nessuno più si indigna quando qualche leader nomina, per strada, un potenziale nuovo parlamentare? La prima riforma necessaria è una riforma dei partiti politici rispettosa dell’articolo 49 della Costituzione, che così statuisce: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Con metodo democratico, appunto.
Nel radiomessaggio del Natale 1944, l’ultimo di guerra, Papa Pio XII, parlando di democrazia, disse: “In un popolo degno di tal nome, il cittadino sente in se stesso la coscienza della sua personalità, dei suoi doveri e dei suoi diritti, della propria libertà congiunta col rispetto della libertà e della dignità altrui”. Nel documento conclusivo della XIX Settimana sociale dei cattolici italiani, tenutasi a Firenze nell’ottobre del 1945, si legge: “Di fronte al problema della Costituente i cattolici italiani prendono posizione francamente e definitivamente per la democrazia, come regime più consentaneo e più aderente al pensiero e allo spirito cristiano”.
Oggi tutta la Chiesa italiana è impegnata nella preparazione della 50esima Settimana sociale, che si celebrerà a Trieste nel luglio del prossimo anno, e che ha come tema: “Al cuore della democrazia”. Non a caso si legge nel documento preparatorio: “Prima ancora di essere una forma di governo la Democrazia è la forma di un desiderio profondamente umano: quello di vivere insieme volentieri e non perché costretti, sperimentando la comunità come il luogo della libertà, in cui tutti sono rispettati, tutti sono custoditi, tutti sono protagonisti, tutti sono impegnati in favore degli altri … La partecipazione è il primo indicatore della salute della democrazia”.
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