Una sorta di basso continuo – fatto di voci e citazioni musicali che vanno dai Cccp di Giovanni Lindo Ferretti ai Velvet Underground – attraversa le Domestiche abitudini di Giorgio Casali (Domestiche abitudini. Poesie 2004-2019, Contatti 2020). I numerosi riferimenti musicali che percorrono queste poesie mi hanno ricordato per analogia il sound della scrittura di Tondelli – emiliano come Casali – con le sue colonne sonore a fare da sfondo all’epica adriatica di un romanzo come Rimini.
Domestiche abitudini, pubblicato nel nuovo progetto editoriale “Contatti” di Massimo Morasso, è un viaggio intimo e familiare nei minimi e imprevisti bagliori della vita, in compagnia di quelle canzoni capaci di sollevare il cuore dalla monotonia dei giorni: “Poi a un tratto, cambiando in radio la stazione, una nuova canzone. Diceva che la vita porta sempre di sorpresa uno stupore ed io, forse al quarto segno della croce, cercavo dentro il cielo un raggio, un minimo bagliore” (p. 131).
Le poesie del volume sono intervallate dal ritmo di prose come questa, dove un abitudinario viaggio in autostrada viene trasfigurato dalla forza di un’improvvisa apparizione, oppure dalla memoria dei giorni trasparenti dell’infanzia, come in Pettirosso: “Guardavo le mattine dalla grata il giardino dei nonni. E sempre un pettirosso saltava di sotto dal pino argentato, si fermava e sembrava guardarmi, ne sono sicuro, poi se ne andava su un ramo, da un ramo all’altro del pino tra me e la siepe, dalla siepe poi alla strada alle scuole alla piazza e tornava, rifaceva il suo giro. Io stavo fermo a guardarlo guardando il suo petto colorato, e già sapevo che tra poco sarebbe scappato, volato via” (p. 81).
Ed è proprio il territorio magico dell’infanzia, visto attraverso lo sguardo pieno di stupore della paternità oppure nei ricordi autobiografici della fanciullezza, ad essere tra i principali oggetti d’indagine della poesia di Casali, come accade nella prosa in apertura al libro: “preghiere a memoria in labbra bisbigliate con la testa nei romanzi d’avventura: ma leggendo contavo le lettere nelle parole (di quattro in quattro, di tre in tre…), spezzavo le sillabe in monconi, violavo le frasi dei racconti fino a più non comprenderne il suono, il senso nelle gesta dei pirati e dei ragazzi, orfani, su navi” (p. 11).
Un senso di profonda creaturalità si irradia da questi testi in cui l’autore raffigura il mistero dell’esserci nel mondo, così come una sofferta meditazione sulla precarietà della vita e sulla realtà della morte traspare in numerosi luoghi di questo libro: “È morto prima di morire, / guarito un giorno per andare / avanti a morire un altro giorno. / E lì, bambino, ho saputo / della fine, che cosa è terra / e cosa Cielo: muore, mio padre, / prima di morire” (p. 16). C’è una poesia di rara semplicità e nitidezza nella prima sezione L’odore dei morti, dedicata alla malattia del padre. In una preghiera laica e universale un bambino chiede al padre, con disperata intensità, di far tornare nuovamente in vita quel mondo luminoso fatto di racconti, paesi e avventure che sembrava ormai perduto (p. 22):
Portami in faccia ancora il vento
e le luci da sopra la collina,
raccontami famiglie, il borgo del paese,
le piante che dovevi arrampicare.
Dimmi dei prati dove giocavi,
di cosa c’è adesso ne ha preso il posto,
di cosa sarà di queste mie mani.
Trasportata dalle note di Harvest di Neil Young, la domanda dell’autore raggiunge forse qui il vero cuore del libro. “Inchinami a ciò che di me è più grande” chiede Casali alla vita stessa e alla poesia, perché la misura umana possa essere finalmente trasfigurata:
Curami avvolto al centro del letto,
inchinami a ciò che di me è più grande,
fischiami l’harvest fammi
addormentare.
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