Desidero unirmi in un ricordo di Cesare Cavalleri, scomparso il 28 dicembre a 86 anni, grande amico e presenza a Milano e in Italia, in quel territorio che è la cultura nel suo motivo e movente più reale: la vita come ricerca di senso e il gusto e l’interesse che ciascuno gioca come segno di appartenenza a qualcosa di più che il banale scorrere delle occasioni, della fama, della riuscita.
Cavalleri è stato una presenza e un volto preciso nel mondo culturale e giornalistico. La sua amicizia ha segnato diversi luoghi di vita, incontro e cultura, come di tante realtà milanesi e italiane e in particolare la vita del Meeting di Rimini e del Centro Culturale di Milano.
Non posso non ricordare i primi contatti in una Milano e in un tempo dove si cercava di riconoscersi nelle differenze delle storie e delle opere in costruzione.
Al Centro cercava un compagno di viaggio, un luogo espressivo oltre a quelli che generava di continuo, come la rivista di cui dal 1965 era direttore, Studi Cattolici, “mensile di studi e di attualità”, nonché come direttore delle Edizioni Ares, un’instancabile e originale casa editrice. Il tratto di queste opere – come del suo giornalismo al quotidiano Avvenire, tra notizia e riflessione – era ed è quello di fucine libere, nelle quali spronava, anche con forza, nel dare il meglio. Dal basso verso l’alto, costruendo il loro patrimonio con la fidelizzazione, senza avere capitali alle spalle, come la sua biografia testimonia, vivendo la fatica silenziosa della costruzione a volte in un mondo preoccupato d’altro.
Ha portato lui, da padre dei suoi colleghi della rivista e della casa editrice, i suoi giovani che sono oggi per me amici e compagni di strada. Costruttore e formatore, di persone e di un luogo, tessitore di rapporti e intuizioni per una presenza di fede e di spirito cristiano nel mondo contemporaneo.
Questa parola, “spirito cristiano”, che don Giussani scelse come titolo della collana di libri da lui diretta per le edizioni Bur, è quella che trovo consimile a Cavalleri e alle sue opere. Scriveva Giussani, al quale come a lui fu riconosciuto il Premio Cultura Cattolica di Bassano del Grappa, nel piano editoriale: “Sintetizza l’umanità di persone stupite e commosse dall’avvenimento cristiano (…) dove le parole scavano nei fatti e nei cuori con energia della grande arte, un’umanità che realizza la sua passione per l’esistenza e la sua adesione al dramma della vita con un realismo e una profondità altrimenti impossibili”.
I nostri incontri, telefonate, il bene da lui voluto, lo mostrano autorevole e dolce, capace di indicazione e sempre in ascolto. Mi colpiva il suo cercarci, l’avere sempre in mente di essere compagni di cammino, segno di un andare insieme, di realizzare le sue opere per un bene comune da non tenere sotto una tenda.
Lascia un esempio, un metodo: baluardo di una presenza culturale, attrezzata, seria, sempre pronta e affidabile nel via via sempre più superficiale appiattimento della cultura a comunicazione. C’è in Cavalleri molto di più di quel che si vedeva di lui, così discreto.
Ci sono fili di relazioni intrattenute che scoprivo esistere solo dopo, e il cui raggio di azione – anche in vite diverse e opposte come posizione umana e religiosa – è pari alla quantità, davvero sterminata, di cose e autori letti, tanto da chiedersi dove trovasse il tempo per tutto questo.
Di Cesare Cavalleri andrà via via scoperta la dimensione non solo di guida ma di essere un luogo, una sponda, una conversazione con grandi autori.
Tra quelli prediletti: Eliot, Buzzati, Quasimodo, Ungaretti (che frequentò nella casa del poeta all’Eur e da cui ebbe in dono Un grido e paesaggi), Campana, Montale (di cui difendeva il Diario postumo), Flaiano, Pound (cui dedicò una collana Ares), Rimbaud, Carrieri, Cardarelli, Pomilio (di cui elogiava il mimetismo linguistico), Caproni (con cui avviò un intenso carteggio sulla ricerca di Dio), Alessandro Spina (considerato un maestro di stile come Cristina Campo e di cui pubblicò Nuove storie di ufficiali e L’oblio), il premio Nobel Saint John Perse (sul quale tenne un bellissimo incontro al Centro Culturale di Milano).
Proprio da un’intervista del 1955 di quest’ultimo trasse una delle espressioni più amate: “Alla domanda sempre riproposta: ‘Perché scrive?’, la risposta del Poeta sarà sempre la più breve: ‘Per vivere meglio’”.
Per vivere meglio è anche il titolo della sua autobiografia in forma di conversazione con Jacopo Guerriero uscita nel 2018 per La Scuola presentata al Centro Culturale di Milano.
Come ci ricorda Alessandro Rivali, ufficio stampa di Ares, Cesare Cavalleri aveva preso congedo dai suoi lettori con una toccante lettera a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, cui sono seguite due lunghe interviste in cui aveva parlato della fede con cui stava vivendo la malattia, la prima con Antonio Gnoli per Robinson di Repubblica, la seconda con Francesco Ognibene, ancora per Avvenire.
Il tempo e la dedizione per le opere era la stessa che per la sua vita ed è dunque qui che sta, certamente, il segreto della sua intensità: nel seguire l’incontro avvenuto durante gli studi universitari con l’Opus Dei scegliendo la via del celibato apostolico come numerario. Come l’incontro con san Escrivá de Balaguer che conobbe di persona, di cui conservava, come ciascuno dei suoi autori prediletti – vicini e lontani – un ricordo indelebile.
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