Descrivere i tanti problemi della società attuale è molto facile. Dalle disuguaglianze (ovviamente crescenti) all’emergenza climatica, dagli incidenti d’auto alle pandemie (favorite dalla globalizzazione), dalla disoccupazione all’aumento improvviso dei prezzi, non c’è criticità che non venga fatta risalire a quel sistema economico che domina le società occidentali e che viene sommariamente chiamato “capitalismo”.
Molto spesso le critiche, che divengono vere e proprie condanne, rispondono soprattutto alla tentazione di dare spiegazioni facili a problemi complessi. E così sul banco degli accusati finiscono, accomunati in un unico destino, il profitto e la proprietà privata, gli “egoismi” dei padroni e (di moda soprattutto nei dintorni del ’68) la forza imperialistica delle multinazionali. Con un unico parametro di fondo: il lasciar scandire i giudizi sommari dalla comoda e facile prospettiva delle ideologie.
Di fronte alla logica degli slogan e dei pregiudizi è difficile contrapporre la testimonianza dei fatti e la realtà della storia. Difficile, ma non impossibile, e anche per questo particolarmente meritorio.
È quanto emerge dal libro scritto con documentata passione dal direttore dell’Istituto Bruno Leoni, Alberto Mingardi (Capitalismo, Il Mulino, 2023). Un libro scritto da un giovane liberale di lungo corso, impegnato con passione ed efficacia a dimostrare che i vantaggi di una società libera possono essere enormemente superiori ai risultati che si possono ottenere con tutte quelle forme sociali che pretendono di stabilire quello che individualmente e socialmente deve essere considerato politicamente corretto.
Non c’è in questo libro nessuna tentazione manichea. Il bene e il male non si possono dividere a priori. E anzi si sottolinea come sono proprio gli errori o i fallimenti che stanno alla base della crescita economica e sociale. “Più che l’accumulazione di capitale – scrive Mingardi – conta l’innovazione. Che si produce molto spesso attraverso l’errore: i prodotti che non decollano, le aziende che non riescono a rimettersi in carreggiata. Sbagliando s’impara. Anzi, sbagliando si innova. Una storica dell’economia, Deirdre N. McCloskey, ha suggerito di non chiamarlo più capitalismo ma innovismo. Ahinoi, la fortuna delle parole non dipende dalla loro precisione”.
E la storia insegna che i grandi progressi che ci sono stati negli ultimi secoli, dall’elettricità a internet, dalla medicina agli aerei, sono stati resi possibili e sostenuti da quell’insieme di valori che vanno dalla tanto criticata ricerca del profitto, allo spirito imprenditoriale, alla garanzia della proprietà privata (anche intellettuale).
Il libro di Mingardi si sviluppa con un continuo e accattivante intreccio tra lo sviluppo del pensiero economico (senza rinunciare a qualche critica al tanto esaltato John Maynard Keynes) e la prova della realtà dei fatti. In un mondo in cui la povertà è stata drasticamente ridotta e in cui, grazie alla ricerca e alla tecnologia, la qualità della vita per la grandissima maggioranza delle persone è enormemente superiore a quella dei ricchi o dei nobili di solo due secoli fa.
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