“Forse quello che si dovrebbe fare contro la propensione alle azioni violente, aggressive, energiche non è screditarla, ma capovolgerla, trasformarla in un’energia che abbia uno scopo completamente diverso” (Charles Taylor, I pericoli del moralismo, in Questioni di senso nell’età secolare, a cura di Alessandra Gerolin, Mimesis 2023, p. 101). Poco prima di accennare in questo passo a due opposte modalità di affrontare il fenomeno della violenza giovanile, Taylor aveva precisato il suo pensiero al riguardo. Erroneamente nella nostra cultura “si suppone che le persone siano capaci di un senso molto forte di disuguaglianza, che siano in grado di non discriminare sulla base del genere, della razza ecc., che sappiano evitare la violenza e le reazioni violente, e così via. D’altra parte, si esclude che le loro motivazioni possano essere suscettibili di cambiamenti radicali. Si pensa che siano pronte così come sono, bastano formazione e istituzioni adeguate per raggiungere un livello molto alto dei requisiti ‘liberali’. La combinazione di esigenze elevate con una totale insensibilità nei confronti di una dimensione verticale della trasformazione conduce ad alcune terribili conseguenze” (p. 99). Trattando di una dimensione “verticale” in contrapposizione ad una “orizzontale”, Taylor fa riferimento, in particolare, alla possibilità di trasformazione della vita, per esempio, in prospettiva cristiana o buddista di fronte a fenomeni come il disagio giovanile che non possono essere meccanicamente e moralisticamente risolti con la mera applicazione di un codice etico o penale. In fondo la domanda che s’impone è: perché comportarsi moralmente, che cosa motiva in tale senso?
Ma tutto il volume, che raccoglie alcuni saggi del noto filosofo Charles Taylor, è assai interessante a partire dal testo più recente intitolato La secolarizzazione e i cercatori di senso, trascrizione di una lezione tenuta nell’Università Cattolica di Milano, in cui si dà una lettura, questa volta più benevola, della nostra epoca. Si può leggere la recente cultura della nostra società occidentale come contraddistinta da una ricerca del senso della vita, la quale si muove in diverse direzioni al di fuori o anche all’interno delle grandi concezioni comprensive, come le religioni tradizionali, che non vengono per lo più seguite con fedele osservanza. E questo ha luogo anche a motivo dell’affievolirsi dell’appartenenza a quelle realtà comunitarie che alimentavano le varie fedi. La figura più rappresentativa di questa cultura di massa può essere oggi quella del viaggiatore continuamente alla ricerca, ma senza una meta precisa. Il fatto che, a differenza di quanto accadeva nelle società tradizionali fino a non molti decenni fa, si sia almeno apparentemente liberi da costrizioni nella ricerca del senso costituisce indubbiamente un valore, secondo Taylor, il quale non sembra dare molto peso ai condizionamenti esercitati dalla società del tecnocapitalismo.
Infine nel saggio Iris Murdoch e la filosofia morale egli contesta l’idea, da tempo diffusa nella cultura secolarizzata, secondo cui affermare di puntare oltre la vita sembrerebbe minare la suprema preoccupazione per questa vita che contraddistingue giustamente il nostro mondo umanitario e civilizzato, valorizzando nuovamente il tradizionale atteggiamento di rinuncia. Ma, secondo Taylor, questa conseguenza non è necessariamente l’unica possibile (p. 73). Il pensiero sul carattere alienante della speranza ultraterrena è indubbiamente stimolante e ha certo in alcuni casi una sua parte di verità, ma può essere anche facilmente contestato. In effetti, anche solo girando per le nostre città, quanti edifici, sedi di grandi opere culturali e sociali, se si va a guardare alla loro genesi storica, testimoniano del fatto che puntare oltre la vita ha contribuito efficacemente a soccorrere i bisogni delle persone, favorendo il progresso della società! Verrebbe addirittura da pensare che l’affievolirsi della speranza ultraterrena abbia anche nociuto alla speranza nel progresso terreno. In ogni caso le due speranze non sono necessariamente in contraddizione.
Nel complesso il volume mostra felicemente la fine capacità di entrare nei meandri della sensibilità contemporanea del grande filosofo canadese ormai ultranovantenne.
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