Meritoriamente la casa editrice Solferino ha pubblicato un’inaspettata e preziosa lezione. L’autore lo conoscono in tanti, seguito negli anni in televisione da un pubblico che lo aspettava col telecomando in mano: si chiamava Philippe Daverio. Il titolo del libro è: Che cos’è la bellezza. L’ultima volta che l’ho salutato è stato davanti alla sua bara, alla camera ardente nella Pinacoteca di Brera a Milano. La bara in centro, il pubblico in fila, con le mascherine, distanziato, c’era la pandemia, io ero andato a fargli visita insieme all’amico Carlo Motta, direttore dei libri illustrati della Cairo editore. Settembre 2020. La volta precedente che ci vedemmo era al compleanno privato di Vittorio Sgarbi, ospitato nel Labirinto di Franco Maria Ricci. Pensai davanti al feretro di Daverio: “Vedi come fagocita velocemente la tv… Fino a ieri eri famoso, la gente ti riconosceva per strada, poi capita la morte, l’improvviso oblio che tutto oscura e avanti un altro”. Del resto non è successo così anche con la scomparsa di Piero Angela e Enzo Biagi? Il vuoto lasciato dai grandi divulgatori.
Invece, inaspettatamente, Solferino sconfessa la mia previsione: io presupponevo che Philippe Daverio entrasse presto in un cono d’ombra, lo stesso infelice oblio che capita ai personaggi tv quando smettono di comparire. Invece ora abbiamo questa lezione: “Che cos’è la bellezza”. Una serissima riflessione, alla portata di tutti, attorno ad una parola che citiamo spesso, ma che ci sfugge sempre di mano quando si va ad afferrarla. Poteva farla semplice, da personaggio tv: invece Philippe Daverio s’inerpica in una gustosissima e non facile ricerca linguistica.
Sì, linguistica. Di ogni parola ricerca l’etimo, la radice profonda, in latino, in greco, poi ne guarda i derivati o i traslati in germanico, in spagnolo, in francese: i modi attraverso cui si dice “bellezza” o “bello” che le radici dei diversi linguaggi si portano dentro da secoli. La ricerca linguistica non è fine a se stessa, da dizionario. È fatta per poi capir meglio le citazioni sul bello di Tommaso d’Aquino, Agostino, Fibonacci: “Non per nulla, nella cultura cattolica cristiana, la preghiera dell’Ave Maria non è rivolta a una Vergine definita come bella ragazza, ma come piena di grazia”. Acquisendo fonti glottologiche, citazioni letterarie, voli filosofici, l’amato divulgatore televisivo ci porta per mano nel labirinto preziosissimo che ci fa alzare gli occhi e ammirare una pala d’altare, una volta affrescata, la facciata di una cattedrale.
Finora mancava un libro alla portata di tutti, ben distribuito, che ci facesse incuriosire dei vari avvolgimenti linguistici, fonetici, europei, le torsioni delle lingue, dei dialetti, degli alfabeti che hanno portato ad oggi a farci dire: “che bello!” mentre si sente l’abbraccio di quanto abbiamo attorno. Grazie, Philippe, per questo tuo inaspettato dono.
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